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Terrorismo, perché l’Italia è rimasta fuori dalla porta

Il governo italiano è rimasto escluso sia dal negoziato per rinnovare il trattato di Schengen sia dagli accordi per ripartire i migranti tra Stati europei. Pennisi spiega perché

Il 10 novembre, su iniziativa del presidente della Francia Emmanuel Macron, i Capi di Stato e di governo di mezza Europa si sono riuniti in videoconferenza per parlare di immigrazione e di lotta al terrorismo. Dal cancelliere austriaco Kurz al presidente francese Macron, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al premier olandese Rutte, dal presidente del Consiglio europeo Michel al presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: tutti presenti e pronti a parlare di revisione dell’area Schengen per controllare i confini esterni, sviluppo di banche dati comuni, scambio di informazioni, rafforzamento delle politiche penali.

Tutti collegati, tranne uno: Giuseppe Conte. Perché l’Italia non è stata invitata, nonostante sia la porta d’Europa sul Mediterraneo? A cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si sarebbe trattato di un grave “incidente diplomatico” perché avrebbe voluto dire esclusione dell’Italia dal «consesso europeo delle grandi potenze». Il Governo non ha alzato foglia perché nonostante l’effusione di baci e abbracci in spot televisivi sa che nell’Europa “che conta” , non ha voce in capitolo soprattutto in materia di terrorismo ed immigrazione.

Su questa testata il 30 ottobre si è ricordato che terroristi hanno transitato per il nostro Paese prima di giungere alla destinazione (in Francia e in Germania) dove compiere i loro misfatti. Oppure, a strage compiuta, sono giunti in Italia per nascondersi in covi sicuri. Si è anche sottolineato che ci sono indizi di piccole centrali terroristiche nelle Marche, nel Basso Lazio, in Campania, in Puglia ed in Sicilia. Spesso alimentate da immigrati clandestini e da “richiedenti asilo”.

Per chi ha una certa dimestichezza di questa materia la richiesta di “asilo politico” è sovente la maschera migliore o del terrorismo militante o di chi lo organizza. Non abbiamo accesso ad alcuna informazione riservata e lo deduciamo solo dalla lettura dei giornali. Presumiamo che i servizi segreti italiani e stranieri ne sappiano molto di più.

La Communauté française de renseignement (Comunità dell’intelligence francese), il nome dato a tutti i servizi segreti della Repubblica francese nel 2000, ha senza dubbio una sede a Roma sotto copertura e verosimilmente non ha mandato rapporti elogiativi al Coordinatore per l’intelligence nazionale presso l’Eliseo e al Comité interministériel du renseignement. Non che i nostri servizi siano un colabrodo ma mancando una politica seria dell’immigrazione, e non rispettando neanche la normativa vigente (che è ancora la legge del 30 luglio 2002, chiamata Bossi-Fini), non riescono a fare fronte alle esigenze minime di controllo dato che sono travolti dai continui sbarchi.

A questo problema di fondo si aggiunge “lo sgarbo” che, a ragione o a torto, l’Eliseo è convinto di avere subito quando nel dicembre 2019 l’attuale Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, allora anche “capo politico” del Movimento 5 Stelle, è andato ad omaggiate i gilet gialli francesi, movimento anti-governativo inizialmente nato per protestare contro l’aumento delle tasse sul carburante e sfociato poi in manifestazioni anche molto violente.

Di Maio ha scritto sul blog del M5S un post intitolato Gilet gialli, non mollate!, in cui ha espresso l’appoggio del suo partito verso il movimento e ha criticato le politiche del Presidente francese Macron. Ha aggiunto che quello dei gilet gialli “è lo stesso spirito che ha animato il M5S”. Per questo ha offerto al movimento francese l’uso di Rousseau, la piattaforma online degli iscritti del M5S.

Di Maio ha poi concluso il suo messaggio scrivendo: “Una nuova Europa sta nascendo. Quella dei gilet gialli, quella dei movimenti, quella della democrazia diretta. E’ una dura battaglia che possiamo combattere insieme. Ma voi, gilet gialli, non mollate!” Mesi dopo, Di Maio ha tentato di parare la gaffe offensiva nei confronti del presidente della Repubblica di uno Stato alleato. In aggiunta, a Parigi è noto che i piani alti della politica francese siano ancora sbalorditi dalla rapidità con cui Giuseppe Conte sia passato dal coordinamento di un Governo a trazione di destra ad uno a trazione di sinistra.

Macron è un uomo freddo, ed un grande pianista, nonché – pochi lo sanno – co-principe di Andorra e protocanonico d’onore della basilica di San Giovanni in Laterano, ho studiato nelle maggiori grandes écoles francesi e, prima di entrare in politica, è stato un banchiere d’affari di grido. Anche se piccolo di statura, guarda dall’alto in basso chi ha studiato poco e male e coloro la cui carriera accademica è, a della Communauté française de renseignement, chiacchierata.

Non le manda a dire. Ma le fa. Il governo italiano è in pratica escluso sia dal negoziato per rinnovare il trattato di Schengen e dagli accordi per ripartire i migranti tra Stati europei. Dalla “nuova Europa che – come scrisse Di Maio – sta nascendo. Dovremo bussare alla porta per essere ammessi al consesso europeo delle grandi potenze”. Non è scontato che verrà aperta e che non si resti in una posizione secondaria e subordinata.


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