Come e perché la lotta alla pandemia è la prova lampante che occorre ripensare la frettolosa riforma del Titolo V della Costituzione fatta nel 2001. L’analisi di Giuseppe Pennisi
Su questa testata, all’inizio della scorsa estate, abbiamo espresso perplessità sulla capacità del governo di rispondere efficacemente alla pandemia, nonostante le buone intenzioni e gli sforzi del ministro Speranza. Si perdeva tempo in questioni di poco peso – ineffabile le diatribe del ministro dello Sport Vincenzo Spadafora (approdato al M5S dopo avere militato in vari partiti) perché gli stadi di calcio venissero riaperti- invece di concentrarsi su come prepararsi alla riprese autunnale e dotare Stato e Regioni (utilizzando anche lo sportello sanitario del Meccanismo europeo di stabilità Mes) per dotare Stato e Regioni degli strumenti essenziali per fronteggiare la probabile ondata autunnale.
Su Formiche.net del 10 novembre si è esaminato il groviglio tra Stato e Regioni nell’affrontare un problema relativamente semplice come quello degli indicatori per meglio coadiuvare lo Stato e le Regioni nel decidere quale fascia di restrizioni si adattasse meglio a ciascun territorio. Il 12 novembre un’analisi storico politica di Ernesto Galli Della Loggia sviscerava la complessità dei rapporti tra Stato e Regioni ed il sito delle Fondazione Openpolis presentava in dettaglio in labirinto della sanità in Calabria, che nei giorni precedenti aveva destato ironia e perplessità (pure per i suoi aspetti boccacceschi) sulla stampa italiana e straniera.
L’approfondito studio di Openpolis merita di essere riassunto perché il labirinto della sanità in Calabria e le dramatis personae che ci hanno messo la faccia (tosta – si dovrebbe aggiungere) fa tremare al pensiero di come l’attuale cast characters, dopo aver promesso – a reti unificate –un Natale sereno agli italiani, sia in grado, senza rinforzi, di gestire la crescita di contagi, ricoveri, terapie intensive e decessi.
Nonostante ciò ad oggi la situazione appare tutt’altro che sotto controllo. La regione è stata inserita tra le zone rosse Covid dal governo nonostante i dati sui contagi siano più bassi di molte altre aree del Paese. Inoltre il commissario ad acta è stato sostituito in corsa in seguito a un’intervista che ha suscitato polemiche e destato perplessità circa la sua gestione. Anche sul suo successore però sono state sollevate critiche per motivi legati ad alcune sue affermazioni sul coronavirus oltre che per la sua vicinanza al partito del ministro della Sanità.
Ambedue sono stati nominati da Giuseppe Conte che pare non tratti i curriculum vitae con la cura dovuta (al momento della sua nomina testate vicine all’opposizione espressero malignità anche sul suo appena pubblicato on line). La sanità è la competenza più importante attribuita alle Regioni dalla nostra Costituzione. Una competenza che Jole Santelli, eletta presidente della regione lo scorso gennaio, aveva deciso di gestire in prima persona. A questo si è poi aggiunta la nomina a soggetto attuatore per l’emergenza Covid-19 in Calabria da parte del capo della protezione civile Angelo Borrelli. Per questo incarico tuttavia Santelli aveva nominato due delegati: il capo del dipartimento di tutela della salute e il capo della protezione civile calabrese.
Tuttavia la competenza del governo regionale sulla sanità risulta tutt’altro che piena. Infatti in Calabria la sanità è commissariata ormai da diversi anni ed è sottoposta a piano di rientro. Rispetto alle altre regioni però, nel caso della Calabria, il commissario straordinario ha poteri aggiuntivi. Poteri che gli sono stati attribuiti con il decreto Salva Calabria nel 2019, quando il governo in carica era il Conte I e il Presidente della regione era Mario Oliverio (Pd). Il decreto ha di fatto esautorato la regione dalla gestione della sanità per 18 mesi.
Il decreto Salva Calabria ha incaricato il commissario ad acta del governo a verificare ogni 6 mesi l’attività dei direttori generali delle aziende sanitarie e delle aziende ospedaliere. Se la valutazione è negativa, previa intesa con la Regione, può nominare un commissario straordinario a guidare l’azienda in questione. In caso la Regione si opponga, l’eventuale veto può essere aggirato con un provvedimento del governo centrale. Lo stesso tipo di meccanismo è stato previsto anche nel nuovo decreto. Qui però si aggiunge che il commissario ad acta avrà 30 giorni per rinominare tutti i commissari straordinari delle aziende sanitarie e ospedaliere della regione e la periodicità delle verifiche sul loro operato è ridotta da 6 a 3 mesi.
Le 9 aziende calabresi risultano in sostanza tutte commissariate. Due in particolare sono commissariate con una procedura diversa da quelle previste dal decreto Salva Calabria e da quello più recente. Si tratta delle aziende sanitarie provinciali (Asp) di Catanzaro e Reggio Calabria dove è in carica una commissione di 3 membri, insediata dal Ministero dell’interno a seguito di infiltrazioni della criminalità organizzata. I vertici di queste strutture fanno eccezione rispetto al meccanismo di revoca previsto dall’ultimo decreto.
Questi infatti rimarranno in carica operando in coordinamento con il commissario ad acta. Nelle altre 7 aziende invece l’ex commissario ad acta Saverio Cotticelli ha nominato dei commissari straordinari per l’attuazione del piano di rientro. Nel caso dell’Asp di Crotone tuttavia il commissario ha rassegnato le sue dimissioni dopo soli 5 mesi di attività per prendere servizio come commissario dell’azienda sanitaria Umbria 1. A inizio estate la struttura si è quindi trovata senza un vertice e il direttore amministrativo, in seguito a una nota del commissario Cotticelli, ha assunto l’incarico di direttore generale facente funzioni.
Il resto si legga sul sito di Openpolis. Basta questo sunto ad illustrare come in questo labirinto non ci sia una chiara linea di comando (e di responsabilità). Se si aggiungono anche nomine che appaiono sconsiderata, occorre chiedersi come tale «pasticciaccio brutto» possa contribuire in modo efficace ed efficiente a combattere il corona virus e qualsiasi altra malattia.
Ha detto lucidamente Massimo Balducci dell’Università di Firenze è collaboratore di questa testata: “Le Regioni sono state create per motivazioni di tipo politico, nemmeno ideologico. La necessità di un decentramento è reale perché, con l’affermarsi dello Stato funzionale che eroga servizi, gestire tutto dal centro sarebbe impossibile (il centro diventerebbe un collo di bottiglia. Il primo e, temo, l’ultimo a capire questo fatto è stato Massimo Severo Giannini che, con il suo Dpr 616 del 1977 ha fatto la vera riforma costituzionale italiana. Bisognerebbe riprendere le fila da lì e agganciarci la riforma della contabilità pubblica”. La lotta alla pandemia è prova lampante che occorre ripensare la frettolosa riforma del Titolo V della Costituzione fatta nel 2001.