Oggi più che mai è necessario affrontare la pandemia con misure mirate ad attenuarne gli effetti sulla popolazione, anche e soprattutto con investimenti immediati diretti a rimuovere le cause di fragilità sottostanti. Il commento di Pasquale Lucio Scandizzo
Per tutte e quattro queste caratteristiche, che hanno carattere strutturale, è necessario affrontare la pandemia con misure mirate ad attenuarne gli effetti sulla popolazione, anche e soprattutto con investimenti immediati diretti a rimuovere le cause di fragilità sottostanti.
Il primo fattore ha a che fare con l’età media della popolazione, e in particolare con la proporzione di coloro che hanno più di 65 anni di età.
Questa proporzione in Italia presenta un intervallo di valori molto ampio, che va da un minimo del 18% della Campania a valori intorno al 25% di molte regioni del Nord. Non c’è quindi da stupirsi se i provvedimenti di chiusure delle scuole sono stati ritenuti necessari in molte regioni del Mezzogiorno, se si considera anche il fatto che le strutture scolastiche corrispondenti spesso sono fatiscenti o inadeguate dal punto di vista igienico-sanitario oltre che didattico.
Tuttavia, è evidente che le chiusure delle scuole nelle aree più povere del Paese sono doppiamente ingiuste, perché colpiscono indirettamente le famiglie, soprattutto quelle con figli minori e in condizioni economiche più precarie, e perché costituiscono un disinvestimento in capitale umano. Quest’ultimo è reso più grave, rispetto alle regioni a più alto reddito, dal digital divide, ossia dalla mancanza di infrastrutture di rete, dalla minor dotazione di computer e di capacità generale di smart working e di didattica a distanza. La chiusura delle scuole, ove necessaria, dovrebbe quindi essere accompagnata da misure compensative in conto capitale, ossia, da investimenti immediati in infrastrutture digitali e capacità di didattica e apprendimento a distanza.
Il secondo fattore, che riguarda la capacità di intervento fiscale è anche diverso nelle diverse regioni del Paese, poiché se anche i provvedimenti dello Stato fossero gli stessi, la capacità di implementazione dipende da una amministrazione pubblica la cui efficacia e capacità di azione è molto differenziata sul territorio. Nelle regioni dove questa è più debole, e la governance locale più problematica e frustrata, come in Campania, le politiche di lockdown tendono ad essere più pesanti e meno assistite dalle misure di protezione sociale quali, per esempio, la cassa integrazione o i trasferimenti compensativi alle famiglie e alle imprese.
Investire nella capacità di gestione della Pubblica amministrazione è una priorità in Italia e le condizioni di emergenza degli interventi attuali ne rendono ancora più urgente l’attuazione. Il successo dei Paesi che hanno contenuto più efficacemente l’impatto della pandemia è legato a una serie di investimenti in capitale umano, quali il sistema dei tracciatori, nonché in formazione e attrezzature secondo un modello organizzativo che assicura la tempestività e l’efficacia dei provvedimenti di spesa. Investimenti analoghi in Italia potrebbero costituire un contributo importante alla capacità delle strutture pubbliche locali nell’amministrare le misure di emergenza.
Le condizioni demografiche ed economiche di fragilità strutturale, prevalenti nelle regioni più deboli del Paese, sono aggravate dal terzo fattore, ossia la estensione della economia informale, tanto più ampia quanto minori sono la capacità fiscale e la governance locale. Questo fattore è legato al quarto fattore, anch’esso correlato al minore sviluppo economico e alla economia informale, dato dalla frequenza dei rapporti sociali e, in particolare, di quelli tra giovani e anziani.
Alloggi multifamiliari affollati sono tipici delle aree metropolitane più a rischio del Paese, e di quartieri degradati dei centri storici e delle periferie, soprattutto nel Mezzogiorno. In questa parte dell’Italia, nonostante il progressivo invecchiamento della popolazione e l’emigrazione dei giovani, l’economia informale e il degrado urbano paradossalmente cementa i legami quotidiani, e i rapporti di scambio e di interdipendenza tra giovani e anziani, spesso conviventi in gruppi familiari allargati sotto lo stesso tetto. Il lockdown quindi è più difficile e meno efficace nel separare i gruppi a rischio maggiore, mentre il contagio può essere accelerato dai maggiori contatti generati dal bisogno crescente di ricavare redditi da una economia in crisi.
L’economia sommersa è colpita dal lockdown e dalla conseguente contrazione dei redditi in maniera duplice, sia attraverso la caduta del proprio giro di affari, che condivide con il resto dell’economia, sia dalla impossibilità di ricevere in maniera diretta sussidi e provvidenze attenuative riservate all’economia emersa. Nell’economia sommersa, inoltre, molti operatori vivono alla giornata in condizione di disoccupazione e di dipendenza, e la loro condizione di povertà relativa tende facilmente a degenerare in povertà assoluta e, in molti casi, disperata.
Misure sociali tese ad estendere anche ai protagonisti del sommerso i pagamenti compensativi e i sussidi per le imprese e ai lavoratori sono quindi necessarie. Esse sono investimenti sociali necessari per cogliere l’opportunità di inclusione che la pandemia offre sia per la riduzione di nuove forme di esclusione e di ineguaglianza, sia per guadagnare base fiscale e comportamenti virtuosi nella fase successiva di ripresa economica.
Ultimo fattore, la capacità sanitaria, che in gran parte è co-determinata dalla capacità di governance e dalla efficienza della pubblica amministrazione, tende ad essere molto minore nelle regioni più deboli. Questo non esclude che ci possano essere punte di eccellenza, ma la mancanza di investimenti in capitale umano, infrastrutture, attrezzature e impianti, ha caratterizzato gli ultimi dieci anni e ha penalizzato soprattutto e ancora una volta il Mezzogiorno, anche se le carenze di base riguardano tutto il Paese. Questo fa sì che le politiche di contenimento della pandemia saranno efficaci solo se saranno in grado di affrontare, già nel breve termine, le condizioni di inadeguatezza quantitativa e qualitativa di un sistema prevalentemente ospedaliero non integrato con il territorio e con grandi diversità regionali di efficacia e di efficienza.