Superato l’impasse della coalizione con il (giusto) voto contrario di Berlusconi sulla riforma del Mes, il centrodestra deve fare dell’economia una priorità, a partire dal fisco. E fermare uno Stato che entra in casa e perfino in Chiesa. Il commento di Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella, in libreria con “Giorgia Meloni. La rivoluzione dei conservatori” (Giubilei Regnani)
L’annuncio di Berlusconi del voto contrario alla riforma del Mes da parte di Forza Italia, tanto inaspettato quanto razionale, rinsalda la coalizione di centrodestra dopo i malumori delle scorse settimane e in seguito ai tentativi di apertura da parte del governo a una collaborazione con i forzisti.
Lo strappo per il momento sembra rimandato ma occorre una profonda riflessione sullo stato della coalizione alla luce degli sviluppi politici di questi ultimi mesi. Secondo i principali sondaggi il centrodestra, nonostante non sia al governo, rimane come consenso saldamente la maggioranza del Paese, con una crescita di tutti e tre i partiti della colazione nelle scorse settimane.
Nel governo iniziano ad emergere i primi scricchiolii di un esecutivo tenuto in piedi con anime tra loro troppo distanti. Il voto sul Mes potrebbe aprire una crisi e dare il là a un rimpasto ma le difficoltà maggiori arriveranno nel 2021 quando terminerà il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione, gli armonizzatori sociali e la crisi socio-economica emergerà in tutta la sua gravità.
Per evitare che ciò accada, il governo punta sulle risorse del Recovery Fund, ma ad oggi sembra mancare un piano ben definito, mentre si continuano a nominare esperti, commissioni, task force. Il rischio – molto concreto – è quello di utilizzare le risorse che arriveranno senza ricadute sull’economia reale aumentando così l’esposizione debitoria (già fuori controllo) del nostro Paese.
Il vero nodo del Recovery plan non è solo ottenere le risorse ma come verranno spese e qui entra in gioco il centrodestra. Ciò che sembra mancare oggi è un’agenda comune della coalizione sui temi economici che dovrebbe basarsi su politiche a favore delle imprese, dei commercianti, delle partite iva, dei liberi professionisti e su una ricetta per abbassare la pressione fiscale e la burocrazia (contrastando in modo netto ogni proposta di patrimoniale).
Superata l’emergenza sanitaria, il vero tema al centro del dibattito politico nei prossimi mesi sarà il lavoro e la necessità di realizzare un’offerta politica credibile. Al tempo stesso la crescente presenza dello Stato nelle nostre vite dovrebbe preoccuparci. La pervasività di questo Stato con la sua burocrazia e inefficienza nell’economia interna, nella vita privata dei cittadini, nelle libertà individuali e di culto, nei nostri patrimoni e al contrario la sua latitanza nei settori in cui servirebbe uno Stato forte come la difesa o la politica estera, dovrebbe rappresentare un’altra delle battaglie care al centrodestra.
Infine il tema dell’ambiente, ancora troppo assente nei programmi e nelle parole dei leader di centrodestra, oltre il 30% delle risorse europee saranno vincolate in spese ambientali e se non si sarà in grado di imporre una visione che coniughi le esigenze della tutela ambientale con quelle socio-economiche e del lavoro, il rischio è quello di essere tagliati fuori.
Piaccia o no, il Covid ha rivoluzionato non solo le nostre vite ma anche lo scenario politico, stiamo entrando in una nuova fase e occorre intercettare e capire questo cambiamento sia nel linguaggio sia nei contenuti dell’offerta politica, una sfida che il centrodestra non può permettersi di mancare.