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Che rapporto c’è tra giovani e potere?

La riflessione di Benedetta Cosmi, in libreria dal 3 dicembre con “Orgoglio e sentimento” (Armando editore), sulla necessità di valorizzare i giovani

“Cari giovani, le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona; pertanto, non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra”. Queste sono le parole pronunciate da papa Francesco in occasione del “Francesco Economy”. Mettiamole in correlazione a quelle che mi hanno colpito dell’ex direttore del Sole 24 Ore, Gianni Riotta, recentemente diffuse tramite un suo duro tweet, che qui vi riporto.

“Il problema della classe dirigente che ha preso il potere in Italia non è solo ignoranza, livore, violenza verbale, odio verso il giusto e il colto. È la volgarità, il kitsch, il linguaggio da sito porno. Forse non han rubato soldi (forse) ma hanno rubato bellezza e rispetto”. Mi sembra fotografi bene tanto le colpe della nuova classe dirigente, quanto le colpe della vecchia, che avendo a lungo ignorato il proprio compito, quello che spetta ai grandi, accompagnare in un sano ricambio generazionale, il rinnovamento della società, dell’azienda, della politica, trasmettendo ancoraggio valoriale, sfide comuni, ha ostacolato in mille modi la Meglio Gioventù. Come avrebbero detto nel celebre film. Regalandoci i peggiori al comando, quelli che non volevano cambiare il mondo da dentro, gli bastava distruggerlo. La crisi internazionale del 2008/2009 bloccava anche il normale ingresso dei neolaureati nel mondo del lavoro, quando denunciavo questo rischio che era alle porte. Ma quando si aprivano per ricevermi gli interlocutori sottovalutavano, come fa solo chi crede che la sua epoca sia eterna. Poi è suonato il rintocco delle campane. Ma ha più senso se ve lo faccio raccontare da un personaggio che sento molto reale, soprattutto da quando su Twitter interagisce con i suoi follower, riportando le sue idee, la sua personalità, i gusti e le autocritiche che gli ho attribuito come autore del libro, “Orgoglio e sentimento” (Armando editore), in libreria dal 3 dicembre 2020.

“Non ci stupiamo che i nostri laureati vadano altrove, a fare la propria parte”, disse Cesare. “Vanno dove le energie fresche fanno la differenza, da noi la muffa”.

Cesare è un giornalista televisivo in pensione da poco, un po’ ligure e un po’ lombardo. Incontra su un treno quattro ragazzi. Questo muove in lui i ricordi e anche scrupoli di coscienza. Egli ama le istituzioni, la cultura classica, la serietà di un mondo antico ma al contempo scopre il desiderio che tutto questo non muoia con loro, si possa consegnare alla generazione di Sonia, Giannenrico, Adriana e Olimpia. E così parla di mondi troppo lontani ma si chiede perché.

Se i Lincei non ci fossero andrebbero inventati. Solo non scordiamoci di includere anche le generazioni future. Il passaggio generazionale mi sembra carente. Una indifferenza reciproca. Nessuno di loro tirerebbe le uova come ai tempi succedeva contro la Prima della Scala. Alla lunga non siete diventati l’élite, ai loro occhi non esistete. Questa sensazione l’ho toccata con mano anche io. Su un treno, ascoltavo quattro ragazzi che a modo loro volevano cambiare il mondo, o semplicemente lo riempivano, di affetti, di amicizia, di passione, di percorsi professionali, di progetti politici, di speranza, ma per loro io su quel vagone neanche c’ero salito. Ma non perché rappresentassi il passato, semplicemente perché non avevo nulla di interessante. Ero uno dei tanti, anche se c’ero solo io. I canoni erano cambiati per colpa mia e tua – gli preciserei – più che loro. Noi avevamo il potere di coinvolgerli, ma non ne abbiamo avvertito in tempo la necessità. Loro all’inizio ci hanno anche provato a collaborare con qualcuna delle istituzioni che noi rappresentavamo, ma hanno trovato stage, lavoretti, precarietà, 3 euro a pezzo, borse di studio all’età in cui noi altri già eravamo a metà carriera. Lui era già professore e io avevo versato un sacco di contributi, avevo lavorato fianco a fianco con le firme più importanti.

Quelli che tra loro più ci sono stati dietro alla fine sono anche arrivati a qualcosa. Quelli che invece hanno cercato scorciatoie, a questo punto, bypassando di fratta in fratta tutte le balle culturali, le promesse non mantenute, sono arrivati prima, spinti dalla voglia di ribaltare tutto, sono arrivati ai posti di comando, così noi non abbiamo allungato il braccio ai giovani di talento, meritevoli, pieni di valori, che hanno saputo puntare sulla propria formazione (con tutti i limiti perché eravamo noi a formarli, o almeno a doverlo fare, quindi se aprivamo università farlocche, corsi di studi superficiali, indirizzi incapaci di rispondere alle reali esigenze, e via discorrendo, la responsabilità non è di chi fidandosi dei nomi alla guida li ha frequentati ma nostra che abbiamo accettato ancora la doppia morale) e ci siamo ritrovati rimpiazzati dai tenaci senza qualità, dalla “peggio gioventù”, perché la “meglio gioventù” l’abbiamo tradita noi. Ai nostri tempi arrivavano i migliori e i peggiori, quindi, in fondo, si notava meno. Eccetto il grosso divario di genere che rimaneva ben presente. Adesso l’ingiustizia trovo sia ancora più intollerabile. Perché se la torta è grande, una volta che hai mangiato, uno, due, tre pezzi, quanti ne devi mangiare, accetti che un altro che non ne abbia diritto ne prenda. Ma se la torta è poca, e già tra voi non tutti potranno avere mezza fetta, sarà un problema sì.

Si dice: “I giovani sono la futura classe dirigente di un Paese”, e invece si dovrebbe dire: “I giovani sono la frattura”. “Per colpa nostra, si intende, noi, che ci siamo tenuti stretti redini e rendite di posizione. Noi che nel 2008 non abbiamo capito niente della crisi…”.

“Pian piano i giovani hanno nutrito estraniamento”, dice Cesare. “Finendo per rompere con tutte le abitudini di noi altri”. “La crisi è giunta in vari settori, in particolare tra quelli che hanno voluto restarsene abbarbicati il più possibile nell’immobilismo di comodo, nel progresso di facciata”. “Questa frattura il Paese la paga” dice Cesare guardando Mauro, il laureando della Statale di Milano. “Una volta la voce delle Università riempiva i media. Poi giusto qualche pagina sulle indagini giudiziarie riguardo i presunti concorsi truccati. Quindi la lente non era sulla formazione, sulla ricerca, no, quando mai?! Intercettava quel mondo, solo per deviazione. Per non parlare poi delle fonti. Abbiamo ignorato i “costruttori del bene comune”, nel non raccontare l’altra parte abbiamo fatto un regalo ai cantieri dell’odio, delle paure, del male. Hanno tratto vantaggi economici, elettorali”.

Cesare a proposito, amava il Mondo di Pannunzio e l’Europeo, un’altra provocazione che lancia è “sembra che a poco a poco lo sguardo si sia ristretto”. Perché se no in questo momento saremmo più concentrati a una generazione che sta combattendo anche per le nostre libertà democratiche, i ragazzi di Hong Kong.



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