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La Ferrari e l’uso stravagante di Ponte Vecchio

Questo commento è uscito oggi su L’Arena di Verona, il Giornale di Vicenza e Brescia Oggi.

Più il mondo ci vuole bene, più noi continuiamo a farci del male. L’ultimo riconoscimento dell’Unesco, che ha da poco dichiarato altri due siti italiani “patrimonio dell’umanità”, rafforza l’invidiabile primato di nazione col maggior numero di iscrizioni riconosciute a livello internazionale: ben 49 su 981. Ma a fronte dell’immensa bellezza, dell’antica storia e dell’arte sempre viva che l’universo indica a esempio nel nostro Paese, cadono le braccia per l’incuria a Pompei, per la trascuratezza al Colosseo, per l’uso a dir poco stravagante di Ponte Vecchio: il ponte più celebre di Firenze chiuso ai comuni mortali, di sabato sera, perché “affittato” per un evento esclusivo dedicato a collezionisti della Ferrari. Loro cenavano e i turisti imprecavano. Possibile che non si riesca a fare le due cose, accontentare la clientela che spende, senza sbattere il ponte in faccia a tutti gli altri? Ed è subito polemica.

Anziché valorizzare con sapienza e con amore quel che abbiamo, lo blindiamo. O in altri casi lo lasciamo marcire. O evitiamo di restaurarlo. O lo facciamo diventare oggetto di conflitti penosi tra personale -scarso, non motivato e mal pagato- e istituzioni. Col risultato di sottoporre a code interminabili o addirittura al “chiuso per sciopero” turisti arrivati da ogni dove. E col paradosso ulteriore che una mostra del British Museum su Pompei “muove” più interesse e visitatori del viaggio tra le vere e proprie, e irripetibili, rovine più famose del pianeta.

Non osiamo pensare che cosa sarebbe in grado di fare la Francia, se solo disponesse di un decimo del nostro patrimonio. Ma sappiamo quel che non è in grado di fare l’Italia, il cui ministero dei Beni culturali fu inventato da Giovanni Spadolini solo nel 1969, e da allora sempre assegnato al socialdemocratico di turno, perché politicamente non contava nulla. Il peggiore degli autogol, se si riflette sul potenziale economico e non solamente culturale che dovrebbe ispirare il dicastero chiamato a tutelare il bene più prezioso: la bellezza del territorio, del paesaggio, dei capolavori che da secoli “abitano” tra noi.

Si spera che da Massimo Bray, il ministro oggi chiamato a difendere il buon nome dell’Italia nell’universo, arrivi la sveglia da tempo invocata. Sveglia dal torpore istituzionale e dall’imbarazzante mancanza di fondi per affrontare l’impresa. Sveglia per coinvolgere i privati e i cittadini in uno sforzo pubblico che sarà pure titanico, ma che è il miglior investimento possibile per il futuro. E allora la valorizzazione del nostro patrimonio diventi una priorità del governo come l’Imu e l’Iva. E’ indecente dover andare a Londra per goderci Pompei.

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