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Perché la Corte Suprema ha lasciato a secco Trump

La Corte Suprema americana ha resinto un’istanza della campagna di Trump sulla Pennsylvania e ricevuto un ricorso dal Texas. Dopo il muro (inaspettato) la guerra in tribunale contro la vittoria di Biden diventa una chimera. Il punto di Giampiero Gramaglia

I tentativi della campagna di Donald Trump di rovesciare l’esito delle presidenziali per vie legali approdano alla Corte Suprema, che respinge un’istanza sulla Pennsylvania, ma che riceve un ricorso dal Texas contro le modifiche alle procedure di voto nelle ultime elezioni in Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin: il Texas chiede di congelare i grandi elettori del Collegio elettorale in questi quattro Stati, che ne hanno complessivamente 62, e di rinviare la riunione del  14 dicembre, quando il Collegio elettorale sarà chiamato ad eleggere formalmente il presidente.

Il ricorso, annunciato dal procuratore generale del Texas Ken Paxton, sostiene che i quattro Stati non hanno adeguatamente protetto dalle frodi il voto per posta – esteso a causa della pandemia – riducendo così “il peso dei voti espressi negli Stati che rispettano” i principi della Costituzione.

Il Texas chiede, quindi, che non siano contati i loro 62 voti nel Collegio elettorale, facendo così scendere Joe Biden, che ha totalizzato 306 grandi elettori, sotto la soglia della maggioranza (270), senza però fare salire Trump oltre i suoi attuali 232 grandi elettori.

Ieri, la Corte suprema, nonostante la maggioranza conservatrice – sei a tre – consolidata dallo stesso presidente uscente con le nomine di tre giudici, ha respinto all’unanimità il ricorso dei repubblicani di bloccare la certificazione del voto in Pennsylvania, dove ha vinto Biden. Nel ricorso si sosteneva che l’allargamento dei termini del voto per posta è illegale in base alla legge statale.

La campagna di Biden ha così commentato la decisione sulla Pennsylvania: “Decine di tribunali hanno respinto le affermazioni di brogli senza merito di Trump e dei suoi alleati; e ora la Corte più alta nel Paese s’è unita a loro, senza un solo dissenso, nel respingere l’assalto al processo elettorale. Le elezioni sono finite, Biden ha vinto e giurerà come presidente in gennaio”: parole del portavoce di Biden, Mike Gwin.

Ma Trump, in una conferenza stampa dopo un vertice sui vaccini anti-Covid, ha così risposto a chi gli chiedeva perché non avesse invitato nessun esponente della prossima Amministrazione Biden: “Dobbiamo vedere quale sarà la prossima Amministrazione, speriamo che la prossima sia l’Amministrazione Trump”; e ha rilanciato le sue accuse di elezioni fraudolente.

Ieri, si chiudeva la finestra per ribaltare l’esito del voto per vie legali. L’8 dicembre è la scadenza, fissata dalla legge federale, per certificare i voti e risolvere eventuali dispute. Gran parte degli Stati – ieri, Missouri e Colorado – hanno ormai certificato i risultati, garantendo a Biden la maggioranza dei grandi elettori che lunedì 14 dicembre si riuniranno per eleggerlo formalmente presidente.

A parte la Corte Suprema, l’unica speranza che resta al presidente è convincere alcuni Parlamenti statali controllati dai repubblicani a eleggere grandi elettori a suo favore negli Stati dove ha perso, in modo da conquistare la maggioranza nella riunione del 14 dicembre. Ma i tre Stati su cui ha finora fatto pressioni (Michigan, Pennsylvania e Georgia) hanno risposto picche.

Trump ha ieri ritwittato i post sul ricorso del Texas di alcuni utenti conservatori, che si chiedono se il Dipartimento della Giustizia e/o altri Stati si uniranno all’azione, che pare come l’ultima chance di ribaltare l’esito del voto.

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