Skip to main content

L’onda anomala dei social network e la necessità di un’informazione di qualità

Di Renato Vichi

Le trasformazioni del mondo dell’informazione e delle fake news alle prese con i social network, che sono sempre più spesso una fonte di informazione primaria, soprattutto per i giovani. Sono 35 milioni gli italiani a rischio di “disorientarsi”. L’analisi di Renato Vichi

Siamo ancora alle prese con la seconda ondata del Covid e ben lontani da quella fase di “ripartenza” a cui abbiamo creduto all’inizio delle vacanze estive. Colti improvvisamente da uno strano e inusuale isolamento da lockdown, anche se parziale, ognuno di noi ha sentito l’esigenza di affacciarsi con maggiore trasporto verso gli inquilini del mondo di mezzo, i social media con proporzioni simili ad un’onda anomala che come nella più tradizionale letteratura marinara è quella che nessun esperto di mare riesce a prevedere e che può travolgere qualsiasi imbarcazione. A bordo delle nostre scialuppe anche il nostro collega, il vicino di casa o conoscente più resiliente all’uso degli strumenti digitali, si è trovato a diventarne un assiduo affiliato.

Tra acquisti online, ricerche di informazioni e condivisione di eventi più o meno interessanti sui social network, ci siamo trovati nell’agorà dei dati, dei followers e delle migliaia di informazioni trafugate da siti insoliti e mai sentiti. Tuttavia, tra la selva quotidiana delle “bufale” della rete e la realtà, oggi 50 milioni di italiani sono online ogni giorno e 35 milioni attivi sui canali social. Nell’era della smartphone economy 80 milioni di persone dialogano e vivono interconnessi, con mezzi facili da usare, utili per la propria vita domestica e privata. E questo su una popolazione residente di 60 milioni. Ma non è tutto qui.

Oggi nell’era del “digital environment” vince chi sa trovare le informazioni giuste e le verifica, chi sa individuare i fatti più influenti, chi sa seguire i fenomeni più attuali. In parole semplici i social siamo noi con pregi e difetti. L’onda anomala aveva già organizzato il proprio esercito più di cinque anni fa. Ma all’epoca non ci siamo accorti del potere invasivo di questi “new media” che di fatto hanno monopolizzato e anche migliorato parte della nostra vita.

Secondo l’Agcom, nel giugno del 2020, 43 milioni di italiani sono stati collegati ad Internet. Nel nostro Paese il social network più popolare resta Facebook, forte di 36,9 milioni di utenti, seguito da Instagram (27,7 milioni di utenti), Linkedin (18,6 milioni di utenti), Pinterest (16,7 milioni di utenti), Twitter (10 milioni di utenti), TikTok (6,6 milioni di utenti). Se poi esaminiamo il tempo medio di connessione giornaliera, coerentemente con l’andamento mondiale, gli italiani consumano circa 6 ore della loro vita sull’online accedendo da qualsiasi dispositivo. Più nel dettaglio il tempo speso online si divide in 1h e 57 minuti sui social media, 3h e 7 minuti su smart tv o piattaforme di streaming, 1h e 1 su piattaforme di streaming musicale e 49 minuti online su piattaforme di gaming. Tra gli usi più gettonati ci sono l’intrattenimento, l’informazione, la condivisione e la conversazione.

Ma l’onda anomala non si è fermata all’Italia. Oggi nel mondo 4,54 miliardi di persone sono connesse al web e circa la metà della popolazione mondiale, 3,8 miliardi di persone, utilizza regolarmente i social network, il 9% circa in più rispetto al 2019. Il cambiamento in atto che dobbiamo affrontare è in noi. I social media sono ovunque e dominano gran parte delle nostre esigenze, ci tirano dentro ogni discussione e ci forniscono anche informazioni. Per questo motivo l’uomo contemporaneo deve avere la capacità intellettuale di verificare ciò che legge e gestire le proprie emozioni.

È un salto di qualità che riguarda ognuno di noi. E necessario per gestire le tecnologie, ma inevitabilmente le nostre azioni e le abitudini; dominare il bene e il male di questi mezzi nonché gli eccessi della comunità digitale. Ormai è un fatto evidente. Viviamo in una vera “social media human society” che contagia perlopiù le nostre opinioni rendendoci sempre più connessi a realtà non sempre di nostro interesse. Non dobbiamo essere pigri e questo ci impone un ruolo più partecipato. Prima di condividere un’informazione bisogna essere in gradi di leggerla con attenzione e di capirne l’affidabilità.

Dai giovani della generazione Z ai più grandi siamo tutti esposti. Dobbiamo dubitare del mondo che ci propongono i social network e nello stesso tempo superare il rischio di una ignoranza passiva condividendo video e informazioni che non abbiamo capito o verificato. Causa il Covid, siamo nella fase più matura dell’onda anomala, ma occorre avere la consapevolezza che il bene primario del nostro vivere è il sapere e l’essere informati correttamene.

Le trasformazioni più importanti stanno impattando sui nostri figli che si informano su Facebook, Instagram e Tik Tok. Si rischia di stravolgere seriamente la piramide dei nostri bisogni di informazione togliendo alle fonti primarie un ruolo fondamentale per garantire la sicurezza informativa viste le ore che passiamo sugli smartphone.
Ma le nubi sembrano diradarsi. Secondo alcune rilevazioni, più di 1 persona su 2 ha espresso preoccupazione per la tematica del trattamento dei dati personali e per il fenomeno delle fake news. Però 1 sola persona su cinque si informa con cura. Rischiamo di non essere attrezzati per affrontare questo scenario e di trovarci a vivere una vita di retroguardia. I social media ci hanno insegnato a disintermediare le fonti tradizionali, il mondo, i potenti e le opinioni elitarie. È così in parte. Nel frattempo dobbiamo prepararci ad affrontare la prossima onda anomala che potrebbe essere un vero tsunami.

×

Iscriviti alla newsletter