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Così insegniamo l’intelligenza artificiale ai satelliti. Parla Feruglio (Aiko)

Intervista a Lorenzo Feruglio, ceo e fondatore di Aiko, la startup specializzata in intelligenza artificiale applicata a sistemi spaziali che la scorsa settimana, per prima, ha ottenuto un finanziamento da Primo Space, il fondo italiano per la nuova economia dello Spazio

Insegnare ai satelliti a decidere da soli. È quello che fa Aiko, la startup di Torino che ha ricevuto il primo finanziamento (1,5 milioni) di Primo Space Fund, il fondo gestito da Primomiglio Sgr nato con l’obiettivo di alimentare la Space economy italiana. Per commentare l’accordo di investimento Formiche.net ha raggiunto Lorenzo Feruglio, ceo e fondatore.

Prima di tutto, cos’è Aiko?

È una startup definita “deep tech”, espressione che vorrebbe lasciar intendere che lavoriamo su tecnologia complessa con grossi impatti sul mercato in cui è inserita. Complessa, e dunque che richiede investimenti e determinati tempi di sviluppo. In pratica, applichiamo l’automazione al settore spaziale.

Si può dire che insegnate ai satelliti a decidere da soli?

Direi di sì. Sviluppiamo algoritmi di intelligenza artificiale per le missioni spaziali. Proponiamo la nostra tecnologia alle aziende che sviluppano satelliti (come Thales Alenia Space o Airbus), alle startup che vogliono lanciare le proprie costellazioni, oppure ai soggetti che operano le strutture e che offrono i servizi da esse derivanti, come le telecomunicazioni.

Che impatto può avere l’applicazione dell’intelligenza artificiale ai sistemi spaziali?

L’obiettivo al lungo termine è ridurre i costi di gestione della missione. La voce “operazioni” è la seconda o terza tra i costi complessivi di ogni missione spaziale, paragonabile al costo di realizzazione del satellite o a quello del lancio. Parliamo di cifre ingenti, che la nostra tecnologia punta a ridurre in maniera significativa.

Intelligenza artificiale a guidare missioni spaziali: sembra fantascienza…

Potrebbe sembrare, ma non è così. L’anno scorso siamo stati i primi in Europa a dimostrare algoritmi di deep learning in orbita per l’analisi dai dati.

Arriviamo al finanziamento del fondo Primo Space. Cosa rappresenta per voi?

Un’ottima notizia e una grande opportunità. Per sviluppare una tecnologia ci sono due strade: o la crescita organica (come stavamo facendo noi), comunque positiva, ma spesso lenta; oppure l’accelerazione per raggiungere obiettivi più grandi. Con il finanziamento imbocchiamo la seconda strada, potendo accelerare la nostra crescita concentrandoci liberamente sullo sviluppo tecnologico e alimentando l’innovazione. Entro il prossimo anno il nostro team passerà da dieci a 25 persone

Vi sentite parte della tanto decantata “New Space Economy”?

Sicuramente, anche se siamo fornitori sia dei player tradizionali, sia di quelli della New Space Economy. In più, siamo una startup, e una startup dell’economia spaziale è di default annoverabile tra gli attori non tradizionali.

Come giudica il supporto del sistema istituzionale alle startup?

Posso parlare per quella che è l’esperienza di Aiko, basata sui risultati che siamo ottenendo. Siamo partiti tra il 2017 e il 2018, un gruppo di giovani appena usciti dall’ambito della ricerca. All’inizio è servita un’opera di convincimento nel contesto di riferimento, per produrre risultati e accumulare background affinché l’azienda potesse essere riconosciuta. Qui interviene il supporto istituzionale, che nel nostro caso è stato prima della Commissione europea, poi privato, e poi istituzionale. Adesso lavoriamo con grandi player, con l’Asi e l’Esa. Il nostro caso è dunque positivo, ma in generale il successo è sempre il frutto di una serie di fattori, a volte imprevedibili, ma l’importante è mettere impegnarsi a fondo, cosa che sicuramente Aiko sta facendo.

In conclusione, come definirebbe la New Space Economy?

Come il tentativo dell’intero ecosistema di abbracciare nuove dinamiche di relazioni tra i player, dinamiche completamente diverse rispetto a ciò a cui era abituato il sistema spaziale. È evidente negli ultimi anni la spinta verso contratti più commerciali e verso la sostenibilità dei business, potenzialmente in modo indipendente dai contratti istituzionali che, tuttavia, restano evidentemente molto rilevanti.



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