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Col Mediterraneo in crisi l'Italia sprofonda. Qualcuno se ne occupa?

Per uscire dal provincialismo italiano e dall'avvitamento del nostro sistema politico-economica basta  dare un'occhiata a una cartina geografica del Mediterraneo. Sarebbe un brusco risveglio, un trauma, ma forse è l'ultima speranza per dare una scossa prima di precipitare passivamente nell'abisso. Anzi, prima di affondare definitivamente in quel Mediterraneo, la nostra penisola come un relitto.

Forse coi renderemmo conto che quel che succede in Egitto, in Siria, ci riguarda. Dunque, questa è solo una rapida carrellata. Mediterraneo. La Siria è in piena guerra civile. Il Libano è fragile e precario. Tra Israele e palestinesi la crisi è permanente, e se negli ultimissimi tempi le cose sembrano andare un filino meglio, è chiaro che molto conta l'influenza di quanto accade intorno. L'Egitto è sull'orlo della guerra civile e della rivoluzione permanente. La Libia è appena uscita da una guerra senza che ci siano segni reali di stabilità. La Tunisia è patria della primavera araba, ma anche lì la crisi politica è tutt'altro che in via di guarigione. L'Algeria è paese a rischio da decenni. Anche la Turchia sta subendo scosse pesanti. passando in Europa, la situazione greca è ben nota. I Balcani sono ancora lontani da una definitiva stabilizzazione. La Francia inizia a vedere la crisi. La Spagna non si è risollevata. Il Portogallo (sull'Atlantico), è la notizia di oggi per quanto riguarda il ritorno alla crisi. In tutti questi Paesi i problemi sono politici e sociali, ma alla base c'è una grande crisi economica, manca soprattutto il lavoro, mancano i soldi. In tutto il Mediterraneo, al centro del quale c'è l'Italia, a sua volta in crisi. Ora, se questo bacino del Mediterraneo è  ridotto in queste condizioni di insicurezza e di crisi economica, chi potrebbe avere interesse ad investirci? Chi potrebbe avere interesse a farci arrivare merci? Non sarà che questa grande crisi è al contempo conseguenza e causa dell'emarginazione del Mediterraneo dalle rotte degli interessi mondiali? occhio perché è già successo, nei secoli XVI-XVIII, e per l'Italia sono stati anni molto bui. Esistono altre vie per portare merci da oriente a occidente? E soprattutto esistono altri mercati interessanti? Purtroppo la risposta in entrambi i casi è sì.

E se allarghiamo un po' lo sguardo la situazione non si fa più incoraggiante. Egitto vuol dire Canale di Suez, la porta attraverso cui le navi dovrebbero arrivare nel Mediterraneo. Ma se l'Egitto è in crisi, il resto delle “rotte” che ci riguardano non sono molto più tranquille. Lo Yemen ha i suoi problemi, il Sudan – i due Sudan – non sono in grado di rassicurare nessuno. Nel Corno d'Africa, in Somalia, la situazione è leggermente migliorata, ma la pirateria esiste ancora. verso il Golfo c'è l'Iraq di cui non si parla ma che non ha risolto i suoi problemi, e poi l'Iran, emarginato dalla scena internazionale. Poi il Pakistan, non certo un Paese del bengodi, nonostante le ultime elezioni: anche negli ultimi mesi si sono contati centinaia di morti in decine di scontri e attentati.

Quanto può essere interessante un mercato mediterraneo fatto di Paesi in crisi economica e instabilità politica e sociale? Non è difficile rispondere. Allora l’unico mercato trainante potrebbe essere quello europeo, segnatamente nord-europeo, e il Mediterraneo avrebbe almeno il vantaggio di essere il punto di passaggio. Ma se passare costa così caro, chi dice che ad esempio le merci dalla Cina non possano fare un altro percorso? Senza arrivare al punto di ricordare che lo scioglimento dei Poli aprirà nuove rotte vantaggiose, già oggi si può vedere un’alternativa attraverso il Pacifico (già fulcro degli interessi sino-americani che già stanno marginalizzando l’Europa) verso il Canale di Panama – che infatti si vuole raddoppiare – in modo da toccare i mercati nord- e sud-americani per poi proseguire verso gli hub portuali del Marocco e soprattutto di Londra e Rotterdam. Riducendo il Mediterraneo a un lago di provincia. Forse l’Italia dovrebbe fare qualcosa per riportare lo sviluppo nel Mare Nostrum, prima che sia troppo tardi.

Insomma, qualcuno capisce che la politica estera per un Paese come l'Italia è determinante? Che oltre al sano spirito umanitario che ci dovrebbe portare a occuparci dei Paesi in difficoltà c'è anche un interesse nazionale che ci obbliga ad agire per essere presenti e protagonisti nei luoghi che ci interessano? Se c'è una crisi in Egitto questo non influenza solo la nostra sensibilità umanitaria, ma anche i nostri posti di lavoro. Iniziamo a disegnare una strategia meno provinciale che è l'unico modo di uscire dalla crisi? Attenzione: non è solo un rimprovero alla dirigenza politica: siamo tutti noi italiani, la classe dirigente come i semplici cittadini, i mezzi di comunicazione come i luoghi di formazione, che sono ripiegati su se stessi e faticano ad alzare lo sguardo.

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