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Nato2030, così si può affrontare il futuro. Il punto dell’amb. Minuto Rizzo

Può la Nato essere realmente rinnovata, diventare un hub di consultazione strategica, aprirsi a una nuova dimensione geografica e concentrarsi per divenire un’area di resilienza? Dal numero di dicembre della rivista Airpress, la riflessione dell’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense college foundation

L’Alleanza Atlantica è molto particolare. Un’alleanza per l’appunto, come dice il nome, mai diventata una vera e propria organizzazione internazionale. Nota soprattutto per le sue provate capacità militari e per far operare insieme in modo ottimale le Forze armate, ben diverse tra loro, dei suoi Paesi membri. Altra caratteristica è che questa capacità militare diviene attiva quando riceve precise istruzioni dai suoi azionisti, cioè i governi. L’organismo decisionale è il Consiglio atlantico che agisce per consenso.

Anche per dire che la macchina amministrativa della Nato, quella che agisce nella quotidianità, è poco conosciuta e quindi il suo funzionamento risulta opaco a un osservatore esterno. Ciò non è privo di conseguenze quando si discute di riforme e si cerca di innovare sull’esistente. L’osservazione di fondo è che, con l’andare del tempo, la dimensione politica iniziale si è gradualmente ridotta, mentre la componente militare ha continuato ad adeguarsi. Risultato finale è che l’Alleanza conta davvero nel mondo solo quando decide di svolgere un’operazione. La consultazione politica fra alleati finisce così per languire in modo evidente. Benvenuta quindi la decisione di avviare un processo di riforma diretto a riguadagnare questo obiettivo e, così facendo, a rimettere in corsa la Nato nel complesso mondo di oggi. Da qui la decisione presa a Londra nel mini-summit di dicembre 2019 di istituire un gruppo di riflessione per analizzare la situazione e fare proposte, destinate al segretario generale. A questo punto però il processo presenta delle ambiguità perché lo stesso segretario generale, sulla base del rapporto finale, avanzerà le sue proposte al vertice dei capi di Stato e di governo che si svolgerà il prossimo anno.

Non sappiamo come si svolgerà questa presentazione che Jens Stoltenberg dovrà fare e che ha già chiamato “Nato2030”, implicando quindi un pacchetto di riforme, traguardo ambizioso verso cui è cominciata la corsa. Il rapporto del gruppo di riflessione è il primo tentativo di rivedere gli obiettivi della Nato e di migliorare il suo funzionamento da molti anni a questa parte. Fa ripensare concettualmente al “rapporto Harmel”, situato in piena Guerra fredda, in una situazione completamente diversa, e che riguardava essenzialmente la strategia da adottare verso l’Unione Sovietica.

Che dire del rapporto? È molto corposo, di circa settanta pagine, molto completo, forse perfino troppo rispetto all’obiettivo originario. Ben presentato, offre diversi spunti di innovazione sull’intensificazione delle consultazioni politiche, l’approvazione di un nuovo concetto strategico, lo sviluppo delle tecnologie più avanzate, l’apertura al mondo esterno, i rapporti con l’Unione europea, lo sguardo alla dimensione dell’Asia-Pacifico.

La lunghezza del rapporto si può spiegare anche con il fatto di aver raccolto più opinioni molto diverse tra loro, ma l’insieme è comunque apprezzabile. È la natura stessa di questo tipo di processo quella di fare proposte a largo raggio che poi dovrebbero essere meglio specificate in maniera operativa. Dovrebbe essere il compito di Stoltenberg da qui al prossimo vertice. È in carica dal 2014, con un mandato ormai di lunghezza record e inclinazioni personali che avranno inevitabilmente una parte importante. A questo punto le vere domande sono: che tipo di riforma è possibile? Può la Nato essere realmente rinnovata, diventare un hub di consultazione strategica, aprirsi a una nuova dimensione geografica, concentrarsi per divenire un’area di resilienza?

Difficile rispondere ora. Nella situazione attuale il segretario generale e il Consiglio condividono il grosso della discussione politica. Di solito le riunioni ministeriali sono preparate e offrono poche sorprese, e non sarà facile creare nuove occasioni e cambiare i contenuti di ciò che esiste, ma è bene provarci seriamente. Se i governi insisteranno su questo punto, le cose potranno cambiare. Una maggiore attività di consultazione sui temi politici è utile per aumentare la condivisione delle priorità e facilitare il consenso in un’organizzazione che ha ormai ben trenta Paesi membri.

Sulle alte tecnologie e sui problemi di natura industriale, il cambiamento sembra più agevole perché la natura dell’organizzazione si presta meglio a questi temi. Il capitolo di un partenariato con i Paesi dell’area del Pacifico per un contenimento, più o meno esplicito, della Cina è tutto da vedere. Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone ne sono i primi candidati naturali, senza menzionare Taiwan.

Per quanto ci riguarda, un maggiore orientamento della Nato verso sud sarebbe davvero benvenuto e sarebbe importante per tutti. È auspicato dal gruppo di riflessione, ma dobbiamo sperare che si traduca in fatti concreti. Stoltenberg, norvegese, non ha finora dimostrato propensione a questo riguardo. Ricordiamoci però che il suo mandato verrà a scadenza nel 2022. Una buona ragione perché da parte italiana si guardi attentamente a questa prospettiva, cogliendone l’opportunità.

(Tratto dal numero di dicembre di Aipress)


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