Dalla rubrica “Strategicamente”, l’articolo di Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (CeSI), pubblicato sul numero di dicembre di Airpress. Nato2030? Il punto di domanda è politico, tra coesione interna, fratture e possibilità di rilancio
Il ritorno della competizione tra grandi potenze, l’espansione dell’influenza di attori autoritari e le tensioni interne all’Alleanza Atlantica sono chiari indici della necessità di un rinnovato ruolo e di maggior coesione all’interno della Nato, innanzitutto da un punto di vista politico, in un momento in cui la comunità transatlantica si trova ad affrontare numerose minacce simultanee e interconnesse. È quanto emerge da “Nato2030: united for a new era”, il documento commissionato dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a un gruppo di esperti con lo scopo di individuare le esigenze di cambiamento e adattare l’Alleanza a uno scenario geostrategico nuovo e in rapida trasformazione.
Le 138 raccomandazioni contenute nel recente report abbracciano tutti i dossier aperti: dal confronto alla Russia alla necessità di dedicare più attenzione alla Cina, dall’esigenza di investire in tecnologie emergenti e disruptive (Edt) alla risposta a minacce ibride e cyber, fino a terrorismo, sicurezza energetica, human security e climate change. Filo conduttore in risalto lungo tutto il documento rimane quello della necessità di creare un fronte unito dal punto di vista politico, utilizzando la Nato come forum istituzionale e militare unico ed essenziale per le sfide strategiche che la comunità transatlantica si trova ad affrontare. In effetti il nuovo quadro geostrategico impone riflessioni più ampie: in un momento storico in cui risulta evidente il ritorno alla politica di forza in molti scenari, il ruolo della Nato non può che essere eminentemente politico, quantomeno nel contrasto ai principali avversari, Russia e Cina.
Ciò, tuttavia, presuppone coesione interna, fattore oggi purtroppo poco osservabile: le tensioni tra Grecia e Francia da un lato e Turchia dall’altro per il Mediterraneo orientale, si sovrappongono ai percepiti attriti in materia di Difesa europea, rendendo necessaria una revisione del multilateralismo stesso. In ambito Nato questo potrebbe significare appoggiarsi all’Alleanza come luogo di dibattito e confronto, con il fine di scongiurare il rischio di escalation incontrollate. Una dinamica simile si è dimostrata efficace con la linea diretta ideata in ambito Nato tra Grecia e Turchia, la quale finora ha raggiunto il suo obiettivo. Tuttavia, un ulteriore passo avanti è imperativo nella creazione di un fronte unitario e credibile, quantomeno per le questioni primarie, come il contrasto a Russia e Cina, ormai attori fondamentali in molteplici ambiti.
Tra questi, come evidenziato dal documento stesso, vi è anche quello del versante sud o mediterraneo, all’interno del quale viene auspicato un approccio coerente, chiaro e consistente da parte dell’Alleanza, caratterizzato da maggiore attenzione politica. Questo specialmente con consultazioni più frequenti degli alleati con maggiore impegno nell’area e il rafforzamento dell’hub per il sud al Joint force command (Jfc) di Napoli. È evidente che un accresciuto interesse della Nato per il Mediterraneo sia di rilevanza primaria per l’Italia, la quale potrebbe rilanciare il proprio ruolo all’interno dell’Alleanza stessa, sfruttando la propria posizione geografica, il proprio know-how in materia di difesa marittima e le proprie capacità diplomatiche nel dialogare anche con avversari della Nato, innanzitutto la Russia.
Il moltiplicarsi delle linee di scontro tra Nato e avversari non rappresenta, dunque, solo una sfida, ma anche una grande opportunità per rivedere l’Alleanza e il ruolo dei singoli Paesi all’interno di essa. Per il prossimo decennio possiamo aspettarci grandi cambiamenti.