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Manovra e Recovery Fund, tra confusioni ed equivoci. L’analisi di Scandizzo

Mentre si può capire il realismo delle scelte del governo nella stima di interventi aggiuntivi, la mancanza di ambizione nei programmi e progetti previsti fin da questa fase minaccia di tradursi in un boomerang micidiale anche in termini di effetto annuncio. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo 

Il problema della politica economica europea è oggi complicato da vari fattori che includono la gestione dell’emergenza pandemica, il problema della ripresa e, in maniera cruciale, il cambio di passo della politica europea nella direzione di un vero bilancio federale. Questo bilancio, a cominciare dal fondo denominato Next Generation Eu, anche indicato come Recovery and Resilience Fund (Rrf), per la prima volta verrebbe alimentato da fondi raccolti sui mercati e da imposte europee invece che solo da contributi dei paesi membri.

La complessità della nuova situazione, peraltro in ulteriore evoluzione, crea una serie di equivoci, uno dei quali, fondamentale, è la confusione tra:

1) l’utilizzo economico delle risorse

2) gli strumenti di finanziamento per il loro reperimento e

3) gli strumenti attuativi d’impegno delle risorse pianificate. Questa confusione è propria della contingenza trasformativa e mai sperimentata finora, perché nel dibattito tradizionale sugli interventi pubblici, pur se tra polemiche sulla fiscalità e sulla dimensione del debito, la scelta degli interventi, dalla spesa corrente agli investimenti, viene considerata indipendente dalle forme di finanziamento e di spesa, anche nel caso dei fondi strutturali europei. Nel caso del Rrf, una ulteriore confusione è creata dal fatto che esso dovrebbe alimentare, allo stesso tempo, strategie europee e strategie nazionali, queste ultime subordinate alle prime, anche se coerenti con i piani nazionali.
Per riconciliare gli obiettivi dei due livelli di programmazione, la UE ha scelto di utilizzare lo strumento del performance financing, che condiziona la erogazione dei fondi al raggiungimento di obiettivi stabiliti congiuntamente dalle autorità sovranazionali e da quelle nazionali.

Tuttavia, anche per il maggior beneficiario (l’Italia), si pone il problema che la componente di prestiti del Rrf, pur se a condizioni molto vantaggiose, sembra implicare per la quota parte delle risorse da restituire, un incremento del debito pubblico, con oneri, che seppure bassi in termini di costo, sono a carico della finanza pubblica nazionale. Questi oneri, tuttavia, dipendono in pratica dalla produttività delle risorse utilizzate, ossia dalla loro capacità, attraverso gli investimenti effettuati, di generare un surplus in grado di ripagare i finanziamenti ottenuti.

La imposizione di condizionalità europee che caratterizza la struttura di “performance financing” del Rrf da una parte sembrerebbe quindi limitare l’uso dei fondi europei a investimenti pubblici in senso lato, ossia che includono anche riforme istituzionali capaci di generare benefici economici, capaci nel tempo di ripagare i costi finanziari senza ulteriori ricorsi al debito nazionale o europeo. Dall’altro, poiché a priori esse appaiono creare debito, almeno in termini di copertura ex ante degli interventi corrispondenti, il governo ha deciso di destinare il grosso del loro dispiegamento per interventi non aggiuntivi, che in gran parte si indirizzano a spese che non riguardano chiaramente investimenti, anche di tipo istituzionale, e che non hanno un chiaro riferimento all’impiego di risorse scarse nella speranza di benefici futuri persistenti. In termini macroeconomici, le risorse da impiegare sono inoltre distribuite nel tempo senza una chiara strategia di allocazione temporale e senza tener conto del fatto che il Rrf ha anche lo scopo di somministrare immediatamente uno stimolo all’intera economia europea dal lato della domanda.

Nel complesso, mentre si può capire il realismo delle scelte del governo nella stima di interventi aggiuntivi da implementare, vista l’esperienza negativa dell’Italia in questo settore, la mancanza di ambizione nei programmi e progetti previsti fin da questa fase minaccia di tradursi in un boomerang micidiale anche in termini di effetto annuncio. Non è chiaro se questa mancanza di ambizione dipende dal fatto che i progetti esistenti non appaiono adeguati o le procedure di programmazione e progettazione non è giudicata affidabile. Infine, le difficoltà della governance che si profilano all’orizzonte dipendono ancora una volta dalla scomparsa di processi rigorosi di preparazione di piani e progetti di investimento pubblico, ma sembrano anche il risultato in una fondamentale mancanza di fiducia del Governo nella pubblica amministrazione e nel paese.



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