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Lavoro, autonomia vs subordinazione. Binomio ancora esistente?

Di Gabriele Fava

Sebbene sino a qualche decennio fa la protezione accordata al solo lavoratore subordinato potesse ritenersi giustificata dal debole potere contrattuale di quest’ultimo, ad oggi, anche nell’ambito del sempre più variegato mondo del lavoro autonomo è possibile rinvenire figure di lavoratori contrattualmente deboli, meritevoli di protezione similmente al tradizionale lavoratore subordinato. L’intervento dell’avv. Gabriele Fava, presidente dello Studio Fava & Associati

Sin dalla pubblicazione del Codice Civile nell’ormai lontano 1942, il nostro legislatore ci ha abituato a distinguere, nell’ambito della qualificazione del rapporto di lavoro, due differenti categorie concettuali, l’una l’antitesi dell’altra: da un lato la subordinazione, il cui tratto caratterizzante è stato individuato dalla giurisprudenza, in linea con la definizione di prestatore di lavoro subordinato contenuta nell’art. 2094 c.c., nella eterodirezione ovvero nell’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; dall’altro lato, l’autonomia, riconducibile alla definizione di contratto d’opera contenuta nell’art. 2222 c.c. ed essenzialmente caratterizzata dallo svolgimento di una prestazione di lavoro prevalentemente personale, senza alcun vincolo di subordinazione e dietro corresponsione di un corrispettivo.

Fondandosi su tale granitica distinzione, il nostro legislatore ha modellato un apparato di diritti e tutele a favore del modello subordinato di rapporto di lavoro, considerato indice di debolezza del prestatore alla luce delle ampie prerogative concesse al datore di lavoro, a scapito del modello autonomo ove l’indipendenza e gli ampi margini di scelta concessi al prestatore d’opera, lungi dall’essere sottoposto a qualsivoglia direttiva, hanno finito per convincere il legislatore ad accordare allo stesso un minimo apparato di tutele, di gran lunga più scarno rispetto a quello predisposto a favore del lavoratore subordinato.

Peccato che l’evoluzione delle modalità di resa della prestazione, anche e soprattutto a seguito della rivoluzione tecnologica che ha investito l’economia contemporanea a partire dagli anni 2000, abbia reso sempre più anacronistica tale netta differenziazione, ormai non più in grado di ricomprendere all’interno dell’una piuttosto che dell’altra categoria il ricco e variegato scenario emergente di nuove figure professionali. Tale incertezza qualificatoria, lungi dall’essere una mera disputa di carattere dottrinale, si riversa sul consequenziale riconoscimento di diritti e tutele, di fatto totalmente sbilanciato a favore della subordinazione.

Infatti, sebbene sino a qualche decennio fa la protezione accordata al solo lavoratore subordinato potesse ritenersi giustificata dal debole potere contrattuale di quest’ultimo, ad oggi, anche nell’ambito del sempre più variegato mondo del lavoro autonomo è possibile rinvenire figure di lavoratori contrattualmente deboli, meritevoli di protezione similmente al tradizionale lavoratore subordinato (si pensi all’emblematico esempio dei ciclofattorini delle piattaforme di food delivery). Non a caso, al fine di far fronte a tale carenza di protezione, da più parti è stata avanzata la possibilità di inserire, sulla scia di alcune esperienze provenienti oltremanica, una sorta di tertium genus tra autonomia e subordinazione, all’interno del quale far confluire i lavoratori autonomi contrattualmente deboli.

Tuttavia, non sembra questa l’evoluzione seguita in tempi recenti dall’ordinamento italiano il quale ha preferito optare per una tendenziale eliminazione del tertium genus a favore di una estensione di parte delle tutele destinate al lavoro subordinato, in qualunque forma esso si presenti, riconoscendo altresì il ruolo della contrattazione collettiva, ritenuta lo strumento più adatto a regolare fattispecie diversificate ed eterogenee. Ciò detto, seppur apprezzabile lo sforzo del nostro legislatore, nel futuro si rivelerà essenziale, non solo un massiccio ed oculato ricorso alla contrattazione collettiva al fine di apportare un sistema di tutele il più possibile vicino alle concrete modalità di svolgimento della prestazione da parte di una specifica categoria di lavoratori autonomi contrattualmente deboli, ma altresì è auspicabile, mediante un intervento del nostro legislatore, il superamento di tradizionali classificazioni a favore di un sistema ampio e generalizzato di tutele a prescindere dal carattere autonomo o subordinato della prestazione, contestualmente segnando l’abbandono dell’idea di un lavoratore per definizione bisognoso di protezione al quale destinare un personalizzato apparato di tutele.

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