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Un anno di smart working tra pregi e difetti. Il bilancio di Becchetti

Per i lavori intellettuali lo smart working è una rivoluzione pazzesca che raddoppia, triplica la produttività. Ma non per questo non presenta contraddizioni da affrontare. Il punto di Leonardo Becchetti

La pandemia ha modificato, e per sempre, le nostre abitudini di lavoro. Esistono tre tipi di relazioni. Quelle faccia a faccia in presenza, quelle faccia a faccia a distanza (i webinar) e quelle a distanza non sincronizzate temporalmente (le relazioni sulle liste Whatsapp per intendersi).

Nessun dubbio che le prime siano le più ricche perché una parte importante della nostra comunicazione è non verbale e perché consentono maggiori occasioni di scambio informale. Abbiamo però scoperto che le seconde (faccia a faccia a distanza) non sono per niente male e non mancano anch’esse di intimità perché (a meno che non utilizziamo quegli orribili sfondi finti) quando ci incontriamo facciamo entrare le persone nelle nostre case (e qualche volta incrociamo anche i familiari dei nostri interlocutori).

Mentre la rivoluzione della pandemia ci imponeva (soprattutto nei periodi di lockdown più rigido) il primo tipo di relazioni ci siamo accorti della follia di alcune nostre agende. Andata e ritorno Roma-Milano dalla mattina alla sera con sei ore di treno per partecipare ad una sola riunione era una piccola follia che ci impediva di inserire in quella giornata altri incontri. Oggi nella stessa giornata possiamo organizzare cinque-sei appuntamenti senza muoverci da casa. Siamo molto più ricchi di tempo anche se poveri di spazio. Esistono ovviamente lavori dove il primo tipo di relazione con il cliente è indispensabile (quello dei dottori ad esempio) ma persino per quei lavori la telemedicina e la parte realizzabile a distanza aumenterà.

Lo smart working non è questione di pigrizia ma un’organizzazione del tempo molto migliore che aumenta la nostra produttività. Pensate alla difficoltà di fissare in agenda una data per una riunione di commissione di esperti nazionale (difficile trovare un appuntamento a distanza inferiore di due mesi e difficile la partecipazione di tutti). Con il lavoro in rete la frequenza degli incontri raddoppia e la partecipazione aumenta.

Per i lavori intellettuali lo smart working è una rivoluzione pazzesca che raddoppia, triplica la produttività. Il lavoro di ricerca scientifica non ha bisogno di riunioni. Ed è piuttosto una partita di scacchi di squadra che con le relazioni di terzo tipo (su liste whatsapp) ci rende liberi da vincoli di tempo e di spazio mettendoci in condizioni di dare il nostro apporto nel momento e nelle condizioni migliori. A differenza di quello che accade con incontri in presenza pensiamo molto di più quello che vogliamo dire e la qualità dell’interazione aumenta enormemente.

Lo smart work presenta ovviamente delle controindicazioni da affrontare. La qualità dello smart work dipende dalla qualità della connessione domestica, da un’equa ripartizione dei compiti di cura in casa (in Italia spesso è consistito in un aggravamento dei lavori di cura delle donne che non a caso sono le meno favorevoli e si trovano a casa mariti che mentre loro lavorano a distanza gli chiedono “cosa ci mangiamo di buono a pranzo” ?) e infine da una ridefinizione dei diritti sindacali per evitare che diventi sfruttamento senza limiti di tempo di superiori nei confronti di subordinati.
Andiamo dunque alle policy.

Nella Pa e nei lavori di ufficio privati controllo rigoroso della produttività dei dipendenti ma passaggio allo smart working per almeno il 60% dei giorni di lavoro. Investimenti per portare la fibra e la banda larga in tutto il paese, incluse le zone meno redditizie. Voucher per favorire il riequilibrio e la corretta gestione dei lavori di cura domestica. Sviluppo di uffici di quartiere alternativi al lavoro domestico con community manager che favoriscono incontri e relazioni tra lavoratori di diverse aziende e settori aumentando qualità delle relazioni e fertilizzazione incrociata delle esperienze lavorative.

Nella presentazione del rapporto Avvenire sul ben-vivere delle provincie italiane concludevo che la sfida quasi impossibile era quella di conciliare l’efficienza e la qualità dei servizi con la bellezza osservando come Milano e Vibo Valentia erano le due città agli antipodi della classifica su questi due fronti. Lo smart working, con la sua rivoluzione che può riequilibrare il rapporto tra metropoli che non respirano e piccoli centri incantevoli che rischiano l’abbandono, ci fa capire oggi che invece è possibile.



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