Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi immagina un centrodestra a trazione liberale, moderata, europeista. Giusto, purché non significhi rinunciare ai propri valori identitari, che trovano una sintesi perfetta nel conservatorismo europeo (e Meloni l’ha capito). Il commento di Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella
In questo 2020 sui generis, il dibattito politico non si ferma nemmeno nei giorni natalizi e sul “Corriere della Sera” sono stati pubblicati due importanti contributi sul futuro del centrodestra. Il primo firmato dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi che, in una lettera al quotidiano di Via Solferino, invoca “un centrodestra di governo guidato da noi liberali”.
Berlusconi tocca alcuni punti condivisibili definendo Forza Italia “una forza politica saldamente ancorata alla tradizione liberale e cristiana, che crede nell’economia di mercato e negli istituti della democrazia liberale; che pone al centro la persona, le sue libertà, le sue aspirazioni, la sua voglia di intraprendere” sottolineando il collocamento del suo partito saldamente nella coalizione ma ponendo un interrogativo di fondo su cosa debba essere il centrodestra.
Arriviamo così al secondo articolo di Angelo Panebianco intitolato “La destra accetti l’Europa” in cui l’editorialista del Corriere si concentra sulla necessità per i sovranisti di accettare l’Europa.
A onor del vero, nella sua storia la destra italiana ha sempre accettato l’Europa. La domanda da porsi è piuttosto: quale Europa? L’uscita dell’Italia dall’Unione europea non è all’ordine del giorno da parte di nessuno dei leader del centrodestra ed è un tema superato anche dalle frange più antieuropeiste della coalizione perché oggettivamente non plausibile. Si parla, semmai, di riformare e cambiare l’attuale Unione europea.
C’è però un malinteso di fondo quando ci si riferisce al rapporto tra la destra italiana e l’Ue: accettare l’Europa non significa accogliere acriticamente ogni proposta per il solo fatto che arrivi da Bruxelles. L’europeismo dogmatico genera tanti danni quanti l’antieuropeismo aprioristico.
Il vero punto non è se stare o meno nell’Ue, ma come starci. Panebianco si domanda: “Cosa ci accadrebbe se finissimo in un girone periferico?” Siamo sicuri che, nonostante l’Italia sia la terza nazione per abitanti e per peso economico, non siamo già in questo girone?
Condivisibile invece il passaggio in cui spiega come “nemmeno in un’epoca di minore interdipendenza un Paese poteva essere davvero padrone del proprio destino senza una buona salute finanziaria”. Il vero nodo del sovranismo è in efffetti ad oggi rappresentato dall’economia: può una nazione con un debito pubblico come il nostro (di cui un’ingente percentuale in mano straniera) definirsi realmente sovrana? Entra così in gioco la necessità di trovare un percorso per il centrodestra che vada oltre certe derive populiste in cui rischia di scivolare il sovranismo.
Nei due significativi interventi di fine anno apparsi sul Corriere, manca la strada più logica da percorrere per il centrodestra italiano: quella del conservatorismo, giusta via di mezzo tra liberalismo e sovranismo.
Berlusconi nelle sue parole ha tracciato alcuni punti cari al mondo conservatore (il tema della libertà, il cristianesimo, il merito, la persona), Salvini e la Lega hanno intrapreso un percorso di evoluzione del partito con un posizionamento anche sui temi europei più vicino al conservatorismo, mentre l’elezione di Giorgia Meloni a presidente dell’ECR (Conservatori e riformisti europei, ndr) colloca Fratelli d’Italia nella famiglia dei conservatori europei.
L’obiettivo del centrodestra deve essere quello di presentarsi come un’opposizione credibile, responsabile ma ferma sui propri valori e ideali senza cedere a inciuci o giochi di palazzo ma dimostrandosi pronta a offrire, anche nel breve termine, un’alternativa di governo per il bene del Paese.