C’è una domanda che in pochi si pongono: e se il vero obiettivo di Renzi non fosse né quello, più “irrazionale” per lui, delle elezioni anticipate, ma nemmeno quello, a prima vista più “razionale”, di una conferma dell’attuale maggioranza ma con un nuovo premier? Il vero obiettivo potrebbe essere, voglio dire, un governo semipolitico con Mario Draghi premier. La bussola di Corrado Ocone
Nell’immaginifico lessico della “prima Repubblica” la locuzione “crisi al buio” aveva qualcosa di inquietante e tranquillizzante insieme. Tutti sapevano infatti, sotto sotto, che il buio non era poi così fitto come lo si voleva fare apparire: che i partiti si sarebbero mossi (non potevano fare altrimenti) nel perimetro di gioco disegnato dalla “guerra fredda” (vigeva il “fattore K di roncheyana memoria) e che probabilmente avevano già in tasca la soluzione che doveva fotografare meglio, in qualche piccolo dettaglio di potere, qualche nuovo equilibrio maturato nel frattempo fra e dentro le forze in campo.
Adesso, in questa strana “terza Repubblica”, o “seconda e mezzo” fate voi, il buio, invece, sembra proprio denso. È vero che, come a poker, tutti stanno forse bluffando e che gli “interessi del Paese” non sono proprio l’obiettivo dei giocatori (ma per lo più non è mai stato così, da sempre, altrimenti non esisterebbe la politica). Ma il fatto è che è difficile trovare una “razionalità” nel gioco. E veramente sembra che tutte le soluzioni siano ora possibili, dal “rimpastino” post-verifica allo scioglimento delle Camere. E che saranno gli eventi, che nella settimana che si apre domani dovrebbero precipitare in vista del Consiglio dei ministri del 7 gennaio, a decidere oltre le intenzioni dei protagonisti, o semplicemente castigando pesantemente chi al tavolo da gioco commetterà il primo errore.
A ragione chi più avrebbe da temere dalle urne è Matteo Renzi, che sicuramente non avrebbe una truppa consistente come l’attuale in una nuova legislatura. Eppure, è proprio lui che ha portato il gioco ad un punto così estremo che una composizione, a questo punto, sembra impossibile. Anche perché essa sarebbe potuta avvenire solo con un ridimensionamento drastico del premier, e non parziale come l’altro propone. Insistere poi sul Mes, che Conte non può concedere nonostante Dio sa quanto l’Italia ne avrebbe bisogno, non fa che rafforzare la posizione del premier all’interno dei Cinque Stelle, di cui potrebbe assumere insieme a Di Maio la leadership.
È su questa carta che Conte può giocare, oltre che su quella del “partito personale”, la cui idea dalle segrete stanze casaliniane con sempre più insistenza viene fatta emergere in questi giorni. Alla fine, se gli eventi portassero alle elezioni, il voto danneggerebbe entrambi i contendenti, perché Conte difficilmente ritornerebbe premier, ma certo più il senatore di Rignano che non l’avvocato di Vulturara Appulia. Ed è su questa scommessa che quest’ultimo ha deciso, con il discorso di fine anno che tanto ha irritato l’avversario, di andare allo scontro. Insistendo pure con l’idea di voler portare in Parlamento la crisi, prima di salire al Quirinale.
Il ragionamento è questo: indipendentemente dai “responsabili”, quanti deputati sarebbero disposti anche solo a correre il rischio di una fine legislatura? Un gioco complicato, come si vede: una partita aperta davvero ad ogni soluzione. C’è una domanda che in pochi però si pongono: e se il vero obiettivo di Renzi non fosse né quello, più “irrazionale” per lui, delle elezioni anticipate, ma nemmeno quello, a prima vista più “razionale” di tutti, di una conferma dell’attuale maggioranza ma con un nuovo premier? Il vero obiettivo potrebbe essere, voglio dire, un governo semipolitico con Mario Draghi premier.
È solo una ipotesi fra le altre quella di Draghi a Palazzo Chigi (casomai con un “governo a termine” o “di programma”) o c’è già anche qualche lavoro sotterraneo che a noi non trapela e che Renzi e altri (anche fuori del perimetro di maggioranza) stanno in questi giorni perfezionando? Vedremo tutto molto presto. Non resta però che aggiungere che, se la mia ipotesi divenisse realtà, avremmo assistito ad uno di quei rari momenti in cui interessi politici e interesse generale o “nazionale” convergono. In democrazia, non c’è altro modo per realizzare quest’ultimo.