Durante il rush finale al Senato Renzi ha sfoderato l’ultimo colpo di magia. Nonostante il “recupero” al cardiopalma degli “incerti” Ciampolillo e Nencini, la forbice fra sì e no si è fermata proprio a 16 (156 voti a favore contro 140 sfavorevoli). Questo significa che in aula, e ancor più nelle commissioni, ove i renziani la fanno da padrone, il governo faticherà non poco a far passare i suoi provvedimenti…
Il governo ha ottenuto la fiducia al Senato, ma nella partita politica fra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, contrariamente a quanto previsto e anche contrariamente alle apparenze, non c’è un vincitore e ci sono anzi due perdenti. Oltre, ovviamente, al Paese.
Matteo Renzi ha giocato d’azzardo, come al solto e più del solito, dall’inizio alla fine della partita. Era difficile che vincesse, a pensarci bene, ma non aveva nemmeno nulla da perdere: valeva la pena tentarci, dal suo punto di vista. Il cuore dell’azzardo, l’oggetto della scomessa, consisteva in questo: che il Pd e forse anche i Cinque Stelle trasformassero i loro maldipancia verso Conte in qualcosa di più e decidessero di sacrificarlo con un nuovo premier e con la stessa maggioranza.
In verità, l’operazione ha sortito l’effetto opposto: ha ricompattato il Pd e gli altri attorno al governo e ha isolato Renzi. Di cui però tutte o quasi tutte le richieste politiche sono state accolte, e per un semplice motivo: le voleva anche il Pd. Nicola Zingaretti ha approfittato al volo che qualcuno facesse per lui il “lavoro sporco” e che in più questo qualcuno, cioè appunto l’indomabile o “inaffidabile” Renzi, fate voi, fosse pure messo alla porta. Con Conte rientrato nei ranghi, cioè meno autoreferenziale, e contro Renzi, si è perciò andati in Aula.
In una due giorni “rischiosa” che si è trasformata in un evidente “mercato delle vacche”, oltre che in una fiera delle ipocrisie. Oggi il rush finale al Senato, ove Renzi, avendo capito di essere stato messo ko, più che da Conte dal suo ex partito, da consumato giocatore di poker, ha sfoderato l’ultimo colpo di magia: ha chiesto ai suoi (16 senatori) non solo di astenersi, ma anche di non rispondere al primo appello, in modo da rendere evidente a tutti che, senza la sua astensione, il governo sarebbe caduto.
Questa mossa gli è riuscita perché, nonostante il “recupero” al cardiopalma (con relative polemiche) degli “incerti” Ciampolillo e Nencini (quest’ultimo fatto oggetto di imbarazzanti elogi da parte del premier nella sua replica), la forbice fra sì e no si è fermata proprio a 16 (156 voti a favore contro 140 sfavorevoli) . Questo significa che in aula, e ancor più nelle commissioni, ove i renziani la fanno da padrone, il governo faticherà non poco a far passare i suoi provvedimenti. E comunque dipenderà ancora, e più di prima, dai diktat e dagli umori del senatore di Rignano. A meno che… la “campagna acquisti” non continui ancora nei prossimi giorni. E soprattutto verso Forza Italia, che anche oggi si è dimostrata la più a richio defezioni (il voto contrario di Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin li ha messi automaticamente fuori del partito).
Possiamo affrontare un’emergenza, ormai sociale ed economica più che sanitaria, in queste condizioni e con questo quadro politico incerto e traballante? La domanda è ovviamente solo retorica…