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Inauguration Day 2021. La transizione è avvenuta, anche su Twitter

JOE BIDEN E KAMALA HARRIS

Gli account ufficiali dell’amministrazione Usa sono passati dal team Trump a quello Biden. Ma non è andata come quattro anni fa con Obama. Ecco perché. L’analisi di Martina Carone, consulente in strategie di comunicazione per Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova

Il giorno è arrivato. Joe Biden ha prestato giuramento diventando ufficialmente il 46° presidente degli Stati Uniti. Contemporaneamente, tutti gli account social, Twitter compreso, passeranno in mano al nuovo presidente e al suo staff. Quello del passaggio di consegne è un momento molto delicato per le nuove piattaforme e l’attenzione che è stata riservata al rapporto tra politica e social si ritrova anche nella decisione, da parte di Twitter, di rendere pubblico il funzionamento tecnico e le tempistiche del trasferimento dell’account, causando anche qualche polemica.

Innanzitutto, sebbene per noi sia un po’ diverso, vanno identificati gli account oggetto del passaggio. Da una parte, gli account prettamente istituzionali, come @WhiteHouse e @PressSec; dall’altra, gli account che rappresentano i leader che approfittano di questo canale per parlare in prima persona: @POTUS, @VP, @FLOTUS e, da quest’anno, anche @SecondGentleman (per Douglas Emhoff, marito di Kamala Harris).

Fino alle 12 (orario statunitense) di oggi, questi account sono stati ancora in mano allo staff di Donald Trump: in contemporanea al giuramento, il team di Biden ha preso possesso degli account, permettendo così ai cittadini “di poter osservare il passaggio del potere in tempo reale”.

Innanzitutto, va detto che non è la prima volta che gli account social rivestono un ruolo importante nell’Inauguration Day. Questo passaggio è infatti stato già affrontato nel 2017, con il giuramento di Donald Trump e il subentro del suo staff nei canali di comunicazione ufficiali al posto di quello di Barack Obama, che aveva inaugurato questi profili social istituzionali nel 2015. In occasione del giuramento di Trump, si decise di passare il testimone alla nuova amministrazione senza intervenire sui follower o avvisarli del trasferimento della gestione dell’account.

Quest’anno, la programmazione del passaggio avviene in modo diverso; innanzitutto, non sarà l’account a passare di mano in mano, ma saranno i profili dell’ufficio del presidente eletto e del Transition team a “trasformarsi” nei canali ufficiali: così, @Transition46 diventerà @WhiteHuse, @PresElectBiden diventerà @POTUS, @SenKamalaHarris diventerà @VP, @FlotusBiden diventerà @FLOTUS e così via. Sostanzialmente, gli account attuali non erediteranno il profilo in toto, ma solo gli username istituzionali, mantenendo i tweet e i contenuti pubblicati finora e i follower che già li seguono. Gli utenti che invece seguono gli account della precedente amministrazione, che saranno archiviati diventando @POTUS45, verranno avvisati da una notifica dell’avvenuta archiviazione, e della possibilità di seguire gli account della nuova amministrazione.

Questa scelta ha fatto sorgere alcune polemiche; innanzitutto, il mancato subentro penalizzerebbe l’amministrazione entrante: non essendoci un meccanismo automatico di trasferimento dei follower alcuni di questi potrebbero decidere di non seguire i nuovi canali, oppure potrebbero non accorgersi affatto della notifica che li invita a effettuare la “migrazione”, penalizzando il nuovo presidente in termini di numeri (il profilo @PresidentElectBiden conta circa un milione di follower, a fronte dei 33 milioni di utenti che seguono @POTUS).

Eppure, la decisione di Twitter non è priva di fondamento: il profilo POTUS è stato creato nel 2015, e l’unico passaggio che ha avuto luogo è stato, due anni dopo, l’insediamento di Trump e il suo subentro alla gestione Obama. la comunicazione di Trump, polarizzante e divisiva, ha coinvolto anche l’utilizzo del profilo istituzionale, ridotto quasi a megafono del profilo privato @realdonaldtrump; se avessero semplicemente “dato le chiavi” di quell’account allo staff di Biden, il cambiamento nei contenuti e nei toni sarebbe apparso eccessivo. Nessun Presidente è uguale al suo predecessore, questo è vero, ma è davvero difficile immaginare due figure più diverse tra loro di Trump e Biden. E un account istituzionale formalmente “neutro” come @Potus non poteva passare dall’uno all’altro come se niente fosse.

Da questa vicenda emerge un altro spunto interessante. Non era mai capitato che Twitter “trasformasse” un account (e lo username) di un suo utente – fino a quel momento un utente come tanti altri – in un altro account (con un altro username), in ragione della carica politica che quell’utente è venuto a ricoprire. Possiamo leggerla come una ulteriore “certificazione” del fatto che ormai il mondo dei social, soprattutto quelli diffusi in modo capillare nelle società contemporanee, non possono più essere visti come mondi paralleli, dove valgono regole proprie e in cui non vi sono distinzioni tra l’account di un semplice cittadino e quello della persona più potente del mondo.

La questione delle regole è un punto centrale, come abbiamo avuto modo di vedere da ultimo con il recente “ban” di Trump proprio da Twitter. Sappiamo che, nel mondo “reale”, lo status giuridico di una persona può variare nel momento in cui si trova a ricoprire determinate cariche politiche (si pensi, per esempio, all’insindacabilità e all’immunità di cui godono i parlamentari). Ma se il fatto di ricoprire una carica produce effetti diretti sulla natura stessa dell’alter ego social di quella persona (cioè il suo account Twitter, Facebook, Instagram…) ecco allora che i due mondi – quello “reale” e quello dei social – si ritrovano collegati in modo più stretto di quanto abbiamo visto finora.

Dove potrebbe portarci tutto questo, in futuro? Le nuove dinamiche riguarderanno solo coloro che andranno a ricoprire cariche pubbliche particolarmente rilevanti (e quella di presidente degli Stati Uniti rientra certamente tra queste) oppure si estenderà ai privati, ai cittadini comuni? Potremo chiedere un giorno a Facebook o a Twitter di far combaciare gli status dei nostri account social con gli status che ci troveremo ad acquisire via via nella nostra vita reale? O magari le piattaforme “dialogheranno” con enti e istituzioni grazie ai quali acquisiremo quegli status e provvederanno automaticamente (“d’ufficio” potremmo dire) a regalarci un level up social?

Forse è presto per ipotizzare che questo episodio possa svilupparsi in una nuova tendenza. Ma a ogni modo, è un altro pezzetto di cronaca che dimostra come i colossi dei social abbiano abbandonato l’idea di costruirsi un mondo proprio, astratto, avulso dal mondo offline. Hanno deciso ormai di scendere in campo, intrecciandosi sempre più in ciò che è la vita reale al di fuori delle loro piattaforme. Con una possibile conseguenza, non necessariamente piacevole: che prendano infine atto, anche sul piano dei diritti e dei doveri (digitali) che non tutti gli utenti sono uguali solo perché cliccano “accetto” sulla stessa schermata “termini e condizioni”. Alcuni utenti sono già più uguali degli altri, e in futuro potrebbero esserlo ancora di più. Non è una cosa di poco conto.

(Ha collaborato Salvatore Borghese)



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