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Nessuno sale sul carro se non c’è il vincitore. Il mosaico di Fusi

Di Carlo Fusi

Per saltare sul bandwagon è fondamentale che un vincitore ci sia, sia riconoscibile e bendisposto verso i nuovi arrivati. Al contrario, nel nostro Paese confuso e stordito, rabbia, paura e sconcerto la fanno da padrone

Ma insomma che fine ha fatto? Dov’è finito un classico della politica italiana, l’effetto bandwagon, nostranamente tradotto come salto della quaglia o corsa sul carro del vincitore? Avrebbe dovuto essere la carta vincente di Giuseppe Conte, la mordacchia per Matteo Renzi e i suoi mefitici funambolismi; lo scudo di Pd e M5S verso un patto di un governo e di legislatura; la conferma che la forza attrattiva dell’esecutivo con “i ministri del mondo” non è una boutade bensì la polizza che garantisce il premio più grande: la scelta del nuovo inquilino del Quirinale.

Invece no, il wagon (traduzione inglese di “carrozzone”) è incidentato e la band – a parte qualche singolo, stranito e incerto – non si appalesa, almeno per ora, e le premesse non sono esaltanti. Di conseguenza la maggioranza giallorossa si sfibra, Italia Viva è il pezzo mancante che non si riesce a sostituire e che, anzi, viene sdegnosamente rifiutato; i brandelli centristi ondeggiano sotto il terremoto dei voti di una fiducia che ieri non c’era, oggi nemmeno e, verosimilmente, domani neppure.

L’effetto alienante e distorsivo è poi accresciuto dal fatto che la bandwagon è fuori gioco anche in senso opposto. Neppure la minoranza che pareggia la maggioranza (al Senato: ma non bisognava abolirlo?) attrae e calamita. Sì, certo, anche da questa parte due-tre acquisti ci sono. Ma sono spuri, fanno un titoletto di giornale non un dato politico.

Il risultato è che ciascuno resta nel suo fortino, abbarbicato a quel poco che c’è e che è sempre meglio di niente. Peccato che così da un lato non si possa governare e dall’altro non si riesca ad espugnare il fortilizio del potere che sta a palazzo Chigi.

Perché succede questo? Le risposte possono essere molteplici ma una prende consistenza. E cioè che per saltare sul carro del vincitore è fondamentale che un vincitore ci sia, sia riconoscibile e bendisposto verso i nuovi arrivati. Al contrario, nel Paese confuso e stordito che è il nostro, dove rabbia, paura e sconcerto la fanno da padrone, ciò che non è chiaro è proprio chi i panni del vincitore possa indossare. Non c’è una Signoria capace di elargire garanzie (di ricandidatura) e sicurezza di incarichi (di governo ma non solo).

Pd e M5S fanno la faccia feroce, minacciano sfracelli ed elezioni, chiudono la porta al rientro dei reprobi renziani. Ma tutto questo non fa scaturire sostegni parlamentari tali da scongiurare scivoloni e sconfitte. Il centrodestra non è da meno, sale al Colle (ma non tutto: la pattuglia di Toti resta fuori, ed è un segnale non trascurabile), brandisce l’inagibilità delle Camere e spinge per uno sbocco elettorale. Ma non riesce a rimpinguare i suoi ranghi in modo che quella richiesta diventi così pressante e corposa da convincere l’arbitro a fischiare la fine della partita.

Non ci sono vincitori (al momento) e non ci sono vinti (idem). C’è lo stallo, che è la condizione peggiore che un Paese possa augurarsi. E che per l’Italia è arsenico politico.

È possibile che tra qualche giorno o addirittura ad horas la situazione cambi e il quadro si chiarisca. Ma la coltre di indeterminatezza è destinata a durare, perfino una volta aperte le urne. Il sistema elettorale che c’è non si è dimostrato adeguato a garantire una maggioranza. Ne ha prodotte due antitetiche e vorrebbe fare tris sempre con lo stesso presidente del Consiglio: un record da non sventolare perché imbarazza invece di dare lustro.

Quella che in tanti agognano, la scelta proporzionale, è di là da venire: occorrerebbe una maggioranza forte e coesa, ma così torniamo al punto iniziale. L’incertezza che regna sovrana non produce bandwagon. Piuttosto intorpidisce le coscienze, obnubila le menti, storpia i comportamenti. È la palude, che produce velleità e trascina verso il fondo le energie. A ben vedere, l’effetto bandwagon è l’opposto del senso dì responsabilità.  Se l’uno non c’è, tocca all’altro prenderne il posto.

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