Skip to main content

Stop alle armi a Riad e Abu Dhabi? Ecco la scelta del governo

Il governo ha deciso di revocare le autorizzazioni all’export di bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi per contribuire a fermare il conflitto in Yemen. La scelta segue il dibattito parlamentare del 2019 e guarda a Joe Biden, anche se, sul fronte dell’export, l’Italia continua a faticare rispetto a partner (e competitor)

Il governo italiano ha deciso di revocare le licenze all’export di missile e bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Come spiegato “con soddisfazione” dal sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ad Agenzia Nova, la richiesta è stata presentata da Luigi Di Maio a Giuseppe Conte, il quale “non ha sollevato alcuna obiezione”. La notizia arriva a pochi giorni dalla trasferta di Matteo Renzi a Riad, sebbene la procedura di revoca (come sottolineato da Di Stefano) sia partita una settimana fa.

LA SCELTA

Competente in materia è l’Uama, l’autorità nazionale per i movimenti in materia di difesa, organo della Farnesina che valuta le richieste di export sulla base della legge 185 del 1990. Da quanto si apprende, la revoca riguarda in particolare le autorizzazioni concesse alla filiale italiana dell’azienda tedesca RWM, già al centro del dibattito politico degli ultimi anni. Un dibattito spesso contraddistinto da approcci ideologici all’export militare, e non sempre attento alla complessità del conflitto in Yemen che, oltre a Riad e Abu Dhabi, vede il coinvolgimento diretto dei proxy dell’Iran. Ora, per la decisione della Farnesina, gioiscono ong e reti pacifiste, che rilanciano addirittura una revisione più stringente della legge 185. Eppure gli altri Paesi, da sempre, esportano di più.

LE PUNTATE PRECEDENTI

La scelta della Farnesina segue le linee parlamentari. Dopo un lungo dibattito, a fine giugno 2019, la Camera approvava la risoluzione dell’allora maggioranza giallo-verde sulla questione dell’export alla coalizione a guida saudita, impegnando il governo a fermare “esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen”. Una scelta forte, per cui già allora si notavano gli scarsi riferimenti nelle varie mozioni (le prime erano di Leu e Pd) alle azioni degli Houthi, segno di un approccio che non teneva conto di tutte le sfaccettature della guerra.

LA RISOLUZIONE RECENTE

Stesso approccio nelle risoluzioni più recenti, l’ultima approvata pochi giorni prima di Natale dalla Commissione Esteri della Camera. A prima firma di Ehm Yana Chiara (M5S) impegna il governo “ad adottare gli atti necessari per revocare le licenze in essere, relative alle esportazioni di bombe d’aereo e missili, che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti ed ogni altro Paese attivamente coinvolto nel conflitto in Yemen, e per sospendere la concessione di nuove licenze per gli stessi materiali sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace”. Impegna inoltre “a valutare la possibilità di estendere tale sospensione anche ad altre tipologie di armamenti”.

IL CASO TEDESCO

Il dibattito non si limita all’Italia. A sollevare il dossier fu per prima la Germania quando, a ottobre 2018, annunciò lo stop delle vendite militari a Riad a seguito dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi. Il velo di moralità che sempre avvolge le questioni legate alle vendite militari in Germania (come in Italia) già di squarciava il giugno successivo, quando il ministero dell’Economia rendeva note vendite di materiali per la difesa per 1,1 miliardi di euro a diversi Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, solo nei primi sei mesi del 2019, perfino all’Arabia Saudita.

TRA LONDRA…

Anche il Regno Unito ha deciso di bloccare nuove vendite militari ai Paesi della coalizione a guida saudita a giugno 2019, scelta inevitabile visto il verdetto della Corte d’appello di Londra che, seguendo la richiesta dell’associazione pacifista Campaign Against Arms Trade, aveva giudicato illegittimo il procedimento utilizzato per l’export di materiali di difesa, poiché non avrebbe consentito una corretta valutazione dell’impatto degli armamenti venduti in termini di vittime civili nei bombardamenti indiscriminati durante la guerra in Yemen. Eppure, nel corso del 2019 l’Arabia Saudita è stata la prima destinazione dell’export militare britannico, assorbendo il 41% del totale delle vendite.

… E PARIGI

Nel frattempo, è rimasta decisamente più realista la posizione francese, il cui export militare presenta tradizionalmente meno peli sulla lingua. Secondo l’ultimo report sulle vendite globali di materiali d’arma dell’autorevole istituto svedese Sipri, le esportazioni transalpine sono cresciute del 72% nel quinquennio 2015-2019 rispetto ai cinque anni precedenti. L’incremento è ancora più consistente per il Medio Oriente, dove le vendite francesi sono aumentate del 363%, tanto che la regione oggi assorbe il 52% dell’export d’oltralpe.

LE MOSSE DI BIDEN

Negli Stati Uniti, durante la presidenza targata Donald Trump, il partito democratico ha fortemente criticato le vendite militari verso i Paesi coinvolti nel conflitto yemenita, a partire dall’Arabia Saudita (anche in virtà dell’assassinio di Khashoggi). Pochi giorni fa, la presidenza di Joe Biden ha deciso così di stoppare le procedure in corso su nuove vendite ad Arabia Saudita ed Emirati, compreso il maxi accordo per gli F-35 destinati ad Abu Dhabi. Come notato su queste colonne, il segretario di Stato Anthony Blinken ha subito specificato che “è tipico all’inizio di una nuova amministrazione rivedere qualsiasi vendita di armi in sospeso”. Difficile immaginare che Washington voglia privarsi in modo permanente di una leva importante della sua postura mediorientale. Nell’ultimo quinquennio Riad è stata la prima destinazione dell’export americano.

IL RUOLO DI RIAD

D’altra parte, l’Arabia Saudita è il Paese che importa più armi al mondo. Nel quinquennio 2015-2019 ha aumentato qui acquisti del 130%, arrivando a coprire il 12% delle importazioni globali e acquistando prima di tutto da Stati Uniti (73% in aumento rispetto al report dello scorso anno), Regno Unito (13%, in calo) e Francia (4,3%, stabile), segno che, oltre i dibattiti politici, gli acquisti si muovono. Anche gli Emirati Arabia comprano parecchio, per lo più da Stati Uniti, Francia e Olanda.

I DATI EUROPEI

Per quanto riguarda il Vecchio continente, un utile quadro è offerto dal database a cura del Servizio europeo per l’azione esterna (l’Eeas) che tiene conto delle licenze per l’export. Scorrendo grafici e tabelle, si nota che nel 2019 le licenze per l’export militare dei Paesi membri hanno avuto un valore di 138 miliardi di euro, di cui il 70% coperto dalla Francia (quasi 98 miliardi). La prima destinazione è l’Egitto (per 16 miliardi), coperta dai transalpini per oltre l’88%, cioè con licenze di un valore pari a 14,2 miliardi (mentre l’Italia discuteva di fermare le sue vendite). Emirati Arabi e Arabia Saudita si trovano rispettivamente al terzo e quarto posto tra i destinatari delle licenze europee, entrambi con la Francia a figurare come primo fornitore. Dal quadro generale dell’Eeas emerge come, negli ultimi anni, i francesi abbiano dominato le vendite europee nel settore militare, siano cresciuti gli spagnoli, mentre tedeschi e britannici siano riusciti a tenere botta.

E L’ITALIA?

L’Italia ha invece rallentato, come confermato anche dall’ultima relazione al Parlamento dell’Uama, che lo scorso maggio ha confermato il trend negativo degli ultimi anni: licenze di export per 5,2 miliardi nel 2019, in calo dell’1,38% rispetto al 2018. Tutto questo dovrà far ragionare su come rilanciare l’export nazionale, sbocco indispensabile per un settore strategico per l’economia nazionale e chiamato in causa spesso per essere volàno del rilancio economico. Da tempo si attende la piena attuazione della riforma g2g, i meccanismi governo-governo di cui la Penisola si è dotata alla fine del 2019, ma per cui manca l’apposito regolamento di implementazione. Si dovrà passare probabilmente anche per un maggiore realismo, evitando approcci ideologici all’export militare. Gli altri (i partner e i competitor) non li hanno.



×

Iscriviti alla newsletter