Don Matteo Zuppi, uno dei vescovi italiani più in sintonia con il Papa diffonde una sua lettera diretta alla Costituzione, ripercorrendola in lungo e in largo in maniera personale ma anche con uno sguardo “politico”. Il commento di Domenico Delle Foglie
“Grazie. Cara Costituzione, ascoltando te già sto meglio perché mi trasmetti tanta fiducia e tanta serietà per la nostra casa comune. Se ce ne è poca anch’io devo fare la mia parte! Proprio come tu vuoi”. Firma: Matteo. Non un politico, ma un cardinale: Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna.
Chissà cosa sarà passato per la testa del cardinale quando ha pensato di dover scrivere una lettera, datata gennaio 2021, alla Costituzione italiana. Alla quale lui da del tu, come si fa con una vecchia amica (“hai quasi
75 anni, ma li porti benissimo!”). Tradendo così quella laicità che don Matteo ha vissuto e frequentato a lungo, prima nei suoi anni romani di formazione e di servizio pastorale poi. Lui è uno dei vescovi italiani più in sintonia con il Papa, uno dei pochi che abbiano ricevuto la porpora in una sede da secoli cardinalizia. A molti altri pastori di diocesi italiane altrettanto prestigiose, non è accaduto. E nessuno può sindacare, perché Francesco ragiona a modo suo e le sue scelte hanno canoni diversi dalla pura e semplice tradizione.
In ogni caso, il successore sulla cattedra di San Petronio fa anche lui le cose a modo suo. E non stupisce che un giorno dell’anno 2021 diffonda una sua lettera diretta alla Costituzione, ripercorrendola in lungo e in largo con la sua personalissima calda umanità. Ma anche con uno sguardo “politico”, molto utile per chi, da credente, si interroga sulla presenza dei cattolici sulla scena pubblica italiana.
Emerge chiaro, infatti, il paradosso: la Costituzione italiana è stata scritta da molti credenti (basta rileggerla nell’ottica della centralità della persona umana per rendersene perfettamente conto), ma oggi per tantissimi credenti non è uno strumento sufficiente per costruire una presenza politica. Eppure, nella lettera di Zuppi c’è quasi un elenco dei temi caratterizzanti una politica “da cattolici”: “non la libertà da, ma la libertà per”, “il limite nell’esercizio del potere e i diritti sempre collegati a delle responsabilità collettive”, “il dovere della solidarietà” e “la cura della salute”, l’educazione, la formazione e il lavoro, la maternità e l’infanzia, la libertà dell’iniziativa economica e il fine della proprietà privata, la cooperazione e le tasse “da pagare”, la famiglia “società naturale” e “realtà umana precedente lo Stato” come “modello della famiglia umana” più vasta, la costruzione della pace in un mondo di “Fratelli tutti”.
Ecco, ce ne sarebbe abbastanza per dare sostanza a un’agenda politica dei cattolici. Ma anche e soprattutto dei cittadini italiani profondamente smarriti. Colpiti dalla pandemia, dai lutti, dalle sofferenze e dalle pesanti incertezze sul futuro. “Cara Costituzione – scrive Zuppi – abbiamo tanto bisogno di serietà e i tuoi padri ce lo ricordano. Spero proprio che noi tutti – a partire dai politici – sappiamo far tesoro di quello che impariamo dalle nostre sofferenze, cercando quanto ci unisce e mettendo da parte gli interessi di parte, scusa il gioco di parole. Abbiamo bisogno di vero ‘amore politico’!”
Sì, proprio quello che sembra latitare in questo tornante complesso della nostra vita istituzionale con un governo dimissionario, una crisi al buio, un Parlamento confuso e incerto, un accordo politico programmatico che non si profila, un piano ancora da definire per utilizzare le risorse messe a disposizione dall’Europa per la ricostruzione post-Covid. Sì, è difficile dar torto a don Matteo: ci vuole “amore politico”.