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Turchia e Libia, cosa chiedono gli Usa all’Italia. Parla il gen. Camporini

L’Italia ha ruolo strategico per la sua collocazione nel Mediterraneo, sempre riconosciuto dagli Stati Uniti. Tuttavia, non basta avere le capacità, serve avere la volontà politica di utilizzarle. Intervista con generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa

Il rapporto tra Italia e Stati Uniti passa dalla Difesa, come dimostrato dal colloquio telefonico dei giorni scorsi tra il ministro Lorenzo Guerini e il segretario Lloyd Austin, nuovo capo del Pentagono. Quali sono gli orizzonti per il rapporto tra Roma e Washington nel settore? Formiche.net l’ha chiesto al generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa.

Come legge la telefonata tra Guerini e Austin?

La sollecitudine con cui il segretario Austin, appena confermato, ha chiamato il ministro Guerini è segno di attenzione particolare da parte degli Stati Uniti verso l’Italia.

Come mai?

Ci sono diverse ragioni. L’Italia ha ruolo strategico per la sua collocazione nel Mediterraneo, sempre riconosciuto dagli Stati Uniti. Ma c’è anche lunga tradizione: pensiamo alle basi Nato nel nostro Paese concesse in uso agli Stati Uniti — e non sono basi americane, sembra distinzione di lana caprina ma non lo è.

Che cosa cerca Washington a Roma?

È nell’interesse di Washington avere un approccio trasparente e molto pronto con l’Italia, in particolare nel Mediterraneo in cui abbiamo un grosso problema che si chiama Turchia.

Che ruolo può giocare l’Italia?

Possiamo giocare un ruolo grazie alle nostre capacità: la nostra flotta è la più moderna ed efficace nel Mediterraneo. Tuttavia, non basta avere le capacità, serve avere la volontà politica di utilizzarle. Penso che la telefonata fosse volta anche a sondare le volontà italiane, come intendiamo muoverci.

E con la Turchia come possiamo agire?

L’Italia può avere ruolo di contrappeso e moral suasion nei confronti dei turchi. Gli interessi italiani in Turchia sono molto forti e ciò fa sì che Ankara debba guardare con attenzione a Roma. Un certo attivismo in politica estera da parte nostra sarebbe sicuramente benvenuto. Ma nel passato, anche quello più recente, siamo stati assenti.

Quando si parla di Turchia nel Mediterraneo non si può non parlare di Libia.

In Libia abbiamo interesse particolare che gli Stati Uniti rientrino in gioco. E l’hanno già fatto con la richiesta formale a Russia e Turchia di ritirare le truppe. È un atto politico rilevante, che noi dovremmo in qualche modo sfruttare per rientrare in gioco in un territorio in cui i nostri interessi sono alti, basti pensare a energia e migranti.

Come?

Con politica più assertiva verso il governo di Tripoli che sosteniamo, ma spesso più in maniera formale che sostanziale. Inoltre, serve linea politica più determinata: dopo Marco Minniti non ricordo nessun che si sia impegnato a fondo per contare in Libia.

Che fare con il maresciallo Khalifa Haftar?

Anche con l’usurpatore bisogna dialogare ma ovviamente senza quel clamore che gli abbiamo regalato a Bengasi con la visita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Parliamo di Nato. Con Joe Biden i legami (anche Nato) tra Stati Uniti e Germania, dopo le difficoltà nei quattro anni di Donald Trump, sono destinati a rafforzarsi?

La posizione tedesca verso gli Stati Uniti è problematica nel complesso delle relazioni con la Russia (pensiamo al Nord Stream 2) e con la Cina. Su questi fronti serve dialogo. Da parte statunitense c’è volontà ma non dimentichiamoci che gli Stati Uniti fanno gli interessi nazionali statunitensi e negoziano in questo senso. In questo momento il loro interesse principale è riannodare il legame con la Nato senza però concessioni nei confronti di chi, faccio un esempio, sta alimentando la guerra civile in Ucraina. Quindi, ci sono sicuramente dossier su cui il dialogo tra Berlino e Washington dovrà andare avanti ma non illudiamoci che sia rose e fiori.

E quanto alla Francia di un Emmanuel Macron decisa nella ricerca di un’autonomia strategica europea?

L’atteggiamento francese è sempre assertivo, con un’eccessiva consapevolezza delle proprio capacità. In questo periodo storico le capacità europee sono in larga parte le capacità francesi, perché a Parigi c’è volontà di usarle.

Che cosa rappresenta per gli Stati Uniti l’autonomia strategica cercata da Parigi?

Le dico ciò che farei se fossi americano. Vorrei occuparmi del principale problema: la Cina. E non vorrei avere guai sugli altri fronti, come Mediterraneo e Russia. Per questo vorrei che davvero l’Unione europea conquistasse quell’autonomia strategica, non in ottica di contrapposizione ma di pilastro europeo della sicurezza comune. Se gli europei non sono in grado di gestire i dossier europei costringono me, gli Stati Uniti, a occuparmene distogliendo capacità da altri fronti.

Cioè dalla Cina, dall’Indo-Pacifico. Pensa sia possibile la costituzione di una Nato nel Pacifico?

Il Giappone, per esempio, si sta riarmando, e lo sta facendo per far pesare le capacità nelle future relazioni con la Cina. Ma su una struttura istituzionale come la Nato Pacifica sono abbastanza scettico. Con la Nato furono create Cento e Seato, durate però l’espace d’un matin perché mancano quei valori comuni che invece rendono i membri della Nato naturalmente uniti. Il che, però, non impedisce rapporti sul piano multilaterale e bilaterale su commercio e difesa.


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