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Non solo Myanmar. Tutti i blackout della rete che servono ai regimi

Dalla Cina al Venezuela, oscurare internet è un metodo molto sfruttato dalle autorità per silenziare fatti di disordini o evitare proteste. Non più uno strumento di democratizzazione dell’informazione ma arma di censura

Quanto accaduto ieri a Myanmar è la cronaca di un colpo di Stato annunciato, che nessuno è riuscito (o ha voluto) evitare. In seguito all’arresto da parte dell’esercito della leader Aung San Suu Kyi, e il presidente Win Myint, tra altri esponenti politici, le strade si sono riempite di carri armati e le emittenti televisive sono state oscurate.

Secondo il quotidiano The Irrawaddy, familiari di alcuni detenuti, quasi tutti membri del partito di governo, hanno denunciato che sono state tagliate le linee telefoniche per impedire le comunicazioni. I soldati hanno preso il controllo della tv pubblica MRTV e di alcune delle compagnie di telecomunicazioni che operano nel Paese.

Netblocks, l’organizzazione specializzato nel monitorare la libertà in internet, ha registrato che in Birmania “le perturbazioni nelle telecomunicazioni sono cominciate lunedì intorno alle 3 del mattino […] ed è probabile che limitino la copertura dei fatti”. La connessione è diminuita del 50% prima di essere “parzialmente ripristinata”.

Business Insider suggerisce che i risultati preliminari arrivati dalla Birmania indicano che “l’interruzione è stata ordinata centralmente e principalmente mirata alle connessioni cellulari”, ma anche i servizi di linea fissa sono stati colpiti.

L’osservatorio IP della Monash University, che monitora la qualità di internet nel mondo, ha dichiarato che la connettività birmana è diminuita drasticamente in alcune aree del Paese lunedì mattina.

Nelle prime ore dopo il colpo di Stato, i social network – specialmente Facebook – sono stati l’unico mezzo di protesta e denuncia. “Salvate la Birmania”, “Abbiamo bisogno di democrazia”, sono state alcune delle campagne diffuse da molti utenti, finché i servizi internet sono stati interrotti. Un tratto comune e universale quando l’ordine costituzionale è troncato.

Ma non è una sorpresa, come si legge in un’analisi dei report NetBlocks sulla piattaforma Axios: “I blackout di Internet sono ormai comuni in tutto il mondo quando il potere è in bilico”.

Internet è diventato un’arma a doppio taglio. Come spiega Sara Fischer di Axios, è un mezzo per democratizzare l’informazione, ma anche uno strumento usato per mettere a tacere i dissidenti. La limitazione dell’accesso a internet o alle piattaforme di social media sono sfruttate dalle autorità per cercare di evitare o interrompere i disordini o almeno cercare di bloccare la diffusione.

Il “buio digitale” è successo in circa 35 Paesi almeno una volta durante l’anno 2019. È accaduto durante le ultime elezioni in Uganda, in Algeria e in Zimbabwe, ma anche durante le proteste in Russia per l’arresto del leader dell’opposizione Alexei Navalny. Succede in Iran e in Venezuela, dove il regime di Nicolás Maduro molto frequentemente interrompe tutto il servizio elettrico per bloccare le comunicazioni.

In Etiopia sono stati interrotti i servizi internet durante le proteste contro il governo nella regione del Tigray e in India durante i disordini Kashmir, dopo la riforma costituzionale ad agosto del 2019. E ancora nello Sri Lanka dopo gli attentati del 2019.

Axios ricorda che la Turchia “ha bloccato l’accesso a diverse piattaforme di social media lo scorso febbraio quando dozzine di truppe turche sono state uccise in un attacco aereo in Siria”.

In Cina, i blackout della rete sono pratica comune. E chi riesce ad aggirare l’interruzione per informare, come la giornalista Zhang Zhan, sulla pandemia Covid-19, rischia il carcere.


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