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Meloni e Leu, così diversi così simili (e per la destra è un bene). La bussola di Ocone

Tra coloro che rispondono negativamente all’appello all’unità del Presidente della Repubblica e dello stesso Mario Draghi (che si è posto in un’ottica di programma e non di forze politiche), si trovano oggi allineate Leu e Fratelli d’Italia. Corrado Ocone spiega perché non è un caso

Conventio ad excludendum. È questo il cleavage più significativo che emerge dalle reazioni dei partiti al primo giro di consultazioni del premier incaricato. I partiti non si dividono più lungo l’asse destra-sinistra, essendo i due raggruppamenti che si erano riaggregati col secondo governo Conte implosi al loro interno. La linea di frattura è ora fra chi pratica appunto una conventio ad excludentum (molto simile a quella che era propria dei “partiti dell’arco costituzionale” nei confronti dei “neofascisti” durante la Prima Repubblica), cioè dicono “mai con tizio” piuttosto che “con Caio o Sempronio”, e chi non giudica gli eventuali compagni di viaggio ma guarda agli obiettivi e al profilo del governo nascente. Non è allora un caso che sulla seconda linea, che è quella che risponde negativamente all’appello all’unità del Presidente della Repubblica e dello stesso Mario Draghi (che si è posto in un’ottica di programma e non di forze politiche), si trovino oggi allineati, sui fronti opposti, le “estreme”, e cioè Leu e Fratelli d’Italia; mentre tutti gli altri, chi più per opportunismo (i Cinque Stelle) chi con qualche mal di pancia (il Pd), li ritroviamo dalla parte opposta. Come si può leggere questa scissione, oltre che nei termini, in verità poco consoni, di estremismo vs moderatismo (Giorgia Meloni, ad esempio, ma forse vale anche per Leu, non è un estremista, tanto che ha detto che appoggerà tutti i provvedimenti del neonato governo che riterrà congrui)?

La mia ipotesi è che si stia delineando una frattura fra forze politiche che sono rimaste legate, nel bene come nel male, agli schemi (diciamo un po’ leninisti) dei partiti novecenteschi; e altre che stanno transitando in un’era postideologica, ma si spera e ci si augura non per questo priva di ideali e anche della conflittualità, più o meno irrisolte, che deve contraddistinguere la politica democratica. Il partito novecentesco gira attorno a un’idea, tenuta fissa come un “caciocavallo” (come diceva Antonio Labriola) e tenta di “imporla” alla realtà per sua natura recalcitrante. Spesso però la realtà se ne va, come le vicende storiche hanno ampiamente dimostrato, per i fatti suoi e il tentativo fallisce, non fosse altro che per quelle conseguenze inintenzionali delle azioni di cui hanno parlato gli scienziati sociali. Ma questo è un altro discorso.

Quel che più conta è che il partito novecentesco ragiona anche in termini di “purezza”: non voglio “sporcarmi” con chi la pensa diversamente da me. Ora, per quanto l’ideale della coerenza contenutistica (e non solo formale) ci sembri “naturale”, e lo è in morale, non si tratta di un ideale politico nel senso classico del termine. Ma è proprio, appunto, della curvatura assunta dalla politica nel secolo scorso e che forse oggi è superata.

Non esistono allora più la destra e la sinistra? Non credo. E l’esempio della destra lo dimostra ampiamente. L’alleanza ha retto al governo della Lega con i Cinque Stelle, e reggerà sicuramente anche oggi. Anzi, il diverso profilo che vanno assumendo Lega e Fratelli d’Italia potrà addirittura giovare: sia perché la destra (come la sinistra d’altronde) devono essere anche plurali al loro interno; sia perché non sovrapponendosi troppo le politiche dei due maggiori partiti (e forse per due partiti “sovranisti” non c’è più spazio in Italia), la destra va a coprire un ampio spettro e soprattutto non lascia sottorappresentata quell’ala liberale, liberista, produttivistica, che è connaturata, come e più dell’altra, al suo dna. Che il sistema politico italiano cominci a trovare, per questa impervia via, un rinnovato equilibrio?


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