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Dov’è la vittoria? La conventio ad (auto)excludendum di Fratelli d’Italia

Di Luigi Di Gregorio

Giorgia Meloni sembra irremovibile. O elezioni o opposizione. Come si spiega questa scelta? E che senso ha autoescludersi dal governo di tutti, su chiamata del Capo dello Stato e con la personalità più autorevole come presidente?

Il governo Draghi è ormai vicino al varo. Il gap di seggi dovuto alle prime reazioni del Movimento 5 Stelle, della Lega e di Fratelli d’Italia sembra essersi riassorbito nel giro di due giorni. Verosimilmente prevarrà l’opzione Tabacci: “Al Presidente non abbiamo posto condizioni perché non vogliamo metterci nel ridicolo”. Insomma, anche se qualcuno sta provando a usare Draghi per rompere il fronte altrui, alla fine questo governo dovrebbe avere una maggioranza enorme, quasi unanime.

Quel “quasi”, al momento, si chiama Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni sembra irremovibile. O elezioni o opposizione.

Come si spiega questa scelta? Con la coerenza? Certo. È uno dei punti di forza di Fratelli d’Italia. In questa legislatura abbiamo visto capovolte incredibili tra Conte I e Conte II, oltre a quelle in atto in questi giorni. Solo nell’agosto 2019, nel giro di una settimana, abbiamo assistito a veri e propri testacoda da parte di Salvini, Di Maio, Zingaretti, Renzi, Conte… Al contrario, in tutta la legislatura Giorgia Meloni non si è mai mossa. O governa il centrodestra o si vota. Niente Conte I, niente Conte II, niente Draghi. Niente poltrone, niente “ammucchiate” e così via. Benissimo. È premiante la coerenza nelle democrazie contemporanee? Non sempre… Perché i voti si spostano ormai più velocemente dell’incoerenza dei politici. O meglio: questi ultimi inseguono e in parte alimentano le nostre incoerenze basate su memoria labilissima, altalena di pop star da amare e odiare, e tifoserie quanto mai intense, ma decisamente mobili. L’incoerenza si compensa subito, cambiando eroi e nemici nel tempo di tre tweet. In ogni caso, la coerenza non può essere assoluta, va in qualche modo tarata sul contesto. È coerente dire “elezioni o niente”. Ma nel momento in cui il Presidente della Repubblica incarica Draghi e quest’ultimo ormai è a un passo dall’avere una maggioranza ampia, il contesto cambia: perché le elezioni non sono più un’opzione. Inoltre, come dirò fra breve, se c’è una chiamata del capo dello Stato per un governo di unità nazionale, lo scenario è diverso dalla abituale dialettica politica.

Proviamo allora a ragionare in termini tattici. Fratelli d’Italia cresce costantemente da anni. E fare opposizione ormai genera più consensi che stare al governo. Genera cioè una rendita di (op)posizione. Tuttavia, ciò è verissimo in tempi “normali”, molto meno in tempi di Covid. La pandemia è stata – ed è – una sciagura per tutti, ma (politicamente parlando) ha molto rafforzato i governi in carica e in particolare l’immagine dei capi di governo. Ogni lockdown ha fatto schizzare in alto la fiducia nei capi di governo nel mondo. Fare opposizione in tempi di Covid è quasi una mission impossible. L’agenda è monotematica ed è incentrata su questioni epidemiologico-sanitarie; le decisioni sono accentrate per via della decretazione d’urgenza/emergenza e sono quasi indiscutibili perché prese sulla scorta di dati e competenze che esulano dal dibattito politico; i capi del governo diventano, agli occhi dei cittadini, una sorta di sovrano monocratico incaricato di proteggerci dal nemico invisibile. È, d’altro canto, a tutti chiaro cosa sia diventato Giuseppe Conte nell’ultimo anno: da premier “per caso” a pop star assoluta per mezza Italia che pendeva dalle sue labbra. Da intermediario quasi invisibile di Salvini e Di Maio a “punto di riferimento irrinunciabile dei progressisti” per il PD di Zingaretti. Da anti-leader sconosciuto, “pescato” per non fare ombra ai suoi vicepremier a potenziale capo di un partito più forte dei partner che lo sostenevano al governo.

Ora al posto di Conte, sotto quel riflettore potentissimo garantito dall’era-Covid, c’è Mario Draghi. Come dice Giorgetti: “è come Ronaldo e quindi non deve stare in panchina”. È stato invocato e corteggiato per anni e adesso che ha deciso di firmare il cartellino per l’Italia, bisogna approfittarne. Draghi è una superstar internazionale. In molti – me compreso – l’hanno sempre immaginato al Quirinale senza passare da Palazzo Chigi, proprio per evitare di “sporcare” la sua immagine di “riserva della Repubblica”. Eppure, l’eccezionalità del momento gli ha fatto dire di si. La pandemia è un “cigno nero” inedito nella storia repubblicana, così come lo è, in positivo, il Recovery Fund: 209 miliardi di euro non si sono mai né visti, né immaginati. C’è da gestire una crisi unica, e c’è un’occasione altrettanto unica per trasformare la crisi in opportunità. Per non sbagliare il rigore, abbiamo chiamato Ronaldo. Se proprio vogliamo ragionare in termini tattici, questa poteva essere un’occasione da sfruttare per tutte le forze che erano all’opposizione di Conte: il centrosinistra in pezzi per il Bis-Conte dimezzato ha dato al centrodestra l’opportunità di apparire davvero unito su Draghi; ciò avrebbe creato ulteriore scompiglio tra 5 Stelle e LeU e sgombrato il campo dall’opzione della “maggioranza Ursula” che sarebbe stata davvero una conventio ad excludendum in salsa contemporanea. E invece stiamo assistendo alla conventio ad (auto)excludendum di Fratelli d’Italia e a un centrodestra che ha reagito all’ipotesi Draghi con un SI, un Ni e un No…

Ora usciamo anche dalla tattica e ripartiamo dalle parole di Mattarella la sera della convocazione di Draghi: «Faccio un appello a tutte le forze politiche in Parlamento per dare la fiducia a un governo di alto profilo che non deve identificarsi in alcuna formula politica. Conferirò l’incarico per formare un governo che faccia fronte con tempestività alle emergenze». Queste parole delineano un governo di scopo – piano vaccinale e Recovery Plan, ossia le emergenze – e di unità nazionale.

Insomma, il Mario Draghi tecnocrate senz’anima che come dice Di Battista “non ha salvato l’Italia, ha salvato l’euro-zona” (come se l’Italia fosse collocata altrove e non avesse beneficiato del mitologico whatever it takes), una specie di Monti bis lacrime e sangue su cui costruire una narrazione anti-europea e anti-establishment, non è un’opzione, neanche per la propaganda elettorale. E infatti, giustamente, Giorgia Meloni non ha obiettato nulla sullo spessore del futuro premier. Ha insistito sulla via maestra delle elezioni, che però non sono sul tavolo… e ha scommesso sulla difficoltà di rendere stabile ed efficace un governo con una maggioranza così eterogenea. È ovvio che una maggioranza ampia e con posizioni politiche distanti comporterà difficoltà decisionali, ma proprio per questo si chiede l’aiuto di tutti. È lì che si misura l’ultimo briciolo di responsabilità dei partiti che ci hanno portato fino a “rischiare” super Mario. Ognuno di loro sa – deve sapere – che affossare Draghi significa affossare l’Italia. Quando questo governo partirà, sarà presumibilmente accompagnato da una narrazione non solo benevola, ma quasi euforica, in patria come all’estero (mercati e spread ci hanno già dato ampi segnali). Quale immagine daremo all’Europa e al mondo se bruceremo la figura di prestigio più importante di cui disponiamo? Se davvero qualcuno teme che l’Italia diventi “telecomandata” da organizzazioni tecno-finanziarie o svenduta a potenze straniere, non deve temere Mario Draghi al governo, deve temere che Mario Draghi fallisca. Perché nel percepito nazionale e internazionale questo governo appare come un’ultima chiamata. E proprio quel fallimento spalancherebbe le porte a una rovinosa caduta.

Ultima considerazione. È fisiologico un governo democratico senza opposizione? No, è patologico. Per questo deve essere di tutti, di scopo e a tempo. Ma, intendiamoci, noi siamo a un crocevia patologico, in crisi politica, pandemica, economica, sociale e, oserei dire, psicologica. C’è da mettere in sicurezza il paese. C’è da ricostruirlo e ripensarlo.

Quale miglior prova di patriottismo è questa? E che senso ha autoescludersi dal governo di tutti, su chiamata del Capo dello Stato e con la personalità più autorevole come Presidente? Se farà bene, i patrioti saranno tutti gli altri. Se farà male, ci faremo male tutti. Dov’è la vittoria, Fratelli d’Italia?

È ora di stringersi a coorte, l’Italia chiamò.

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