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Il prossimo fronte della guerra Usa-Cina? La moneta virtuale. E c’è in ballo la libertà

La Cina avvia la sperimentazione dell’uso di massa della valuta digitale. Un report Cnas avverte: pericolo di autoritarismo tecnologico. Un rischio per l’Occidente, con Pechino che intende imporre i suoi standard (anche sulla Via della Seta)

Apprendiamo dall’agenzia cinese Xinhua una notizia rilanciata in Italia dall’Ansa, che ha firmato con l’organo di stampa ufficiale di Pechino un accordo nel contesto della sigla del Memorandum sulla Via della Seta: diverse città cinesi stanno utilizzando il renminbi digitale per aumentare i consumi durante la prossima Festa di Primavera e promuovere l’uso della nuova forma di valuta. Pechino, recita l’agenzia, distribuirà 10 milioni di yuan (circa 1,55 milioni di dollari) in valuta digitale ai residenti registrati tramite lotteria in buste rosse virtuali, del valore di 200 yuan ciascuna. La moneta elettronica, il cui utilizzo è “particolarmente incoraggiato nelle attività legate agli sport invernali” in vista delle Olimpiadi invernali del 2022, si potrà spendere dal 10 al 17 febbraio in negozi online e fisici selezionati, tra cui negozi di vestiti e scarpe, cinema, hotel e altri settori.

Qualcuno si dice entusiasta. “Dopo aver sentito la notizia, Wang Yiliang, 35 anni, si è registrato per utilizzare la valuta digitale sull’app JD.com questa mattina”, riporta l’agenzia. “È la prima volta che sento parlare di valuta elettronica. È una nuova esperienza”, ha detto l’uomo.

Ma l’agenzia offre qualche importante informazione in più. La Cina ha avviato un piano di utilizzo di valuta digitale in alcune regioni del Paese lo scorso anno. Anche Pechino, Shanghai e Guangdong hanno in programma l’utilizzo di valuta digitale nei rapporti di lavoro del governo locale, si legge ancora.

Il megafono cinese parla poi di “sforzi per includere più persone in questa era digitale in rapido sviluppo, rendendo la vita quotidiana più facile e i pagamenti digitali più sicuri”. E promette che, “a differenza delle piattaforme di pagamento non bancarie come Alipay e WeChat Pay, che richiedono agli utenti di collegare i conti bancari, un portafoglio digitale con il deposito in valuta elettronica potrebbe essere aperto con qualsiasi identificazione personale univoca come una patente di guida o un numero di cellulare”. Tradotto, con le parole di Dong Ximiao, un ricercatore del think tank cinese Asian Financial Cooperation Association, citato sempre da Xinhua: “È molto più facile aprire un portafoglio digitale che un conto bancario, il che significa che la popolazione cinese senza accesso a una banca potrebbe potenzialmente trarne vantaggio e finalmente abbracciare il mondo digitale”.

Ci sono due elementi da analizzare. Il primo è tutto interno alla Cina e riguarda i riferimento alle società come Alipay, di proprietà del magnate Jack Ma finito recentemente nel mirino del governo cinese. La ragione? Tra le molte, il timore che la sua ascesa possa mettere in ombra il presidente Xi Jinping e che possa strappare il ruolo guida dello Stato nella finanza digitale. Ed è anche per questo che domenica l’Antitrust cinese ha rilasciato le nuove linee guida che prendono di mira le piattaforme Internet, rafforzando le restrizioni esistenti per i giganti della tecnologia (tra cui i siti di e-commerce dei mercati online Taobao, Tmall e JD.com, ma anche i servizi di pagamento Alipay e WeChat Pay).

Il secondo elemento è interno e allo stesso tempo esterno alla Cina. E serve rispondere a una domanda: che cosa celano questi sforzi coordinati dalla Banca Popolare Cinese per fare della Cina — in maniera aggressiva e anche tramite la Via della Seta — il leader mondiale del settore dei pagamenti digitali?

C’è di che preoccuparsi, stando a un recente rapporto del Center for a New American Security, think tank statunitense che molti suoi esperti ha fornito alla nuova amministrazione di Joe Biden. Il documento si intitola “China’s Digital Currency” e il sottotitolo è eloquente: “Aggiungere i dati finanziari all’autoritarismo digitale”. La nuova architettura di pagamenti digitali, si legge nel dossier, “consentirà probabilmente al Partito comunista cinese di rafforzare il suo autoritarismo digitale a livello nazionale ed esportare la sua influenza e la definizione degli standard all’estero” (anche attraverso la Via della Seta). E ancora: “Eliminando alcuni dei vincoli precedenti sulla raccolta dei dati da parte del governo sulle transazioni di privati cittadini”, il sistema di pagamenti digitali cinese “rappresenta un rischio significativo” anche per gli standard di “privacy finanziaria sostenuti nelle società libere”.

“Gli Stati Uniti potrebbero non aver necessariamente bisogno di creare il proprio” sistema i pagamenti digitali, spiegano gli esperti. Ma nonostante questo “devono adattarsi” ai cambiamenti in corso, “comprendere le implicazioni geopolitiche di questa tecnologia, influenzarne lo sviluppo, contrastare le minacce” del sistema cinese “alla libertà politica ed economica e garantire che l’innovazione tecnologica non favorisca l’autoritarismo digitale della Cina”.

È anche questa la “concorrenza estrema”, a un passo dalla Guerra fredda, descritta dal presidente statunitense Biden nei giorni scorsi. È un altro capitolo di quel “divario crescente tra tecno-democrazie e tecno-autocrazie” a cui ha fatto riferimento il segretario di Stato Antony Blinken davanti alla commissione Affari esteri del Senato statunitense. La prima contromisura che l’Occidente deve mettere in pratica? “Le democrazie devono unirsi e stabilire norme e standard comuni sull’uso accettabile delle tecnologie e su come affrontare gli abusi”, aveva spiegato alcuni giorni fa Steven Feldstein, senior fellow del Democracy, conflict and governance program presso il Carnegie Endowment for International Peace, intervistato da Formiche.net.

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