Quella del 2010 per il centrodestra sembrò una crisi passeggera e invece fu l’inizio della crisi che sfociò verso il governo Monti e poi la sconfitta elettorale. Coincise con l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjöll. Quest’anno un’altra eruzione rischia di travolgere tutto e tutti, quella dell’“operazione spaccatutto” di Matteo Renzi. Ecco perché
Cosa c’entrano Giorgia Meloni, Matteo Renzi e la gestazione del governo Draghi con l’eruzione in Islanda del vulcano Eyjafjöll nel 2010?
C’entrano perché a destra c’è chi ha idealmente collegato la rottura della leader di Fratelli d’Italia con la scissione di Gianfranco Fini che – nella primavera del 2010 – portò alla rovina conclamata del “Popolo della Libertà” come era in quel momento la dicitura ufficiale della premiata ditta berlusconiana di centrodestra. Una lite profonda, un duello Berlusconi-Fini che portò alla conseguente disintegrazione del governo ma anche di quel mondo che era stato Alleanza Nazionale.
Pochi ricordano che l’eruzione islandese sconvolse per alcuni giorni i collegamenti aerei europei e che proprio nelle ore in cui Fini decise la rottura molti dirigenti di An – convocati in via d’urgenza nella capitale per decidere sulla scissione con il Cavaliere – erano stati impossibilitati ad arrivare in tempo a Roma per (forse) spingere Fini verso scelte diverse.
Sembrò una crisi passeggera e invece quella primavera del 2010 fu l’inizio della crisi che sfociò verso il governo Monti e poi la sconfitta elettorale.
Adesso ci sono le chat e – complice il Covid – ci si parla a distanza, ma quando ben i vulcani italiani ed esteri sembravano tranquilli, ecco l’eruzione esplosiva di Matteo Renzi capace di organizzare in poche settimane un terremoto politico di magnitudo al top e che ha veramente rimescolato le carte…
La sua “operazione spaccatutto” oltre ad aver causato il crollo del governo Conte portando i grillini a un livello di disperazione da canna del gas, ha scatenato anche una imprevedibile lacerazione sul fronte opposto con conseguenze potenzialmente disastrose e sicuramente imprevedibili.
Come la lava ribolle invisibile sotto la crosta, così i rapporti tra la Meloni e Matteo Salvini, (già non idilliaci), si sono fatti ancora tesi, mentre in Fratelli d’Italia salgono diversi malumori per la scelta della leader di chiudere subito a Mario Draghi prima ancora delle consultazioni e di aver in mano la lista di governo.
Con il rischio di elezioni incombenti (ipotesi che non gode più di molto credito, ma non si sa mai) il disagio non è emerso ufficialmente a livello parlamentare, ma piuttosto per una “lettera aperta” firmata da numerosi ex esponenti di An verso la leader, criticata per aver scelto una posizione preconcetta e di conseguente auto-esclusione ideologica pur in nome della coerenza.
Ufficialmente non appoggiata all’interno del partito, la tesi ha comunque aperto un dibattito interno, anche tenendo conto che i sondaggi sottolineano unanimi come molti elettori di FdI avrebbero apprezzato un appoggio a Draghi visto che “Supermario” gode di ampia popolarità trasversale e una disponibilità di FdI avrebbe fatto fibrillare ancora di più il magma dell’ex maggioranza di Conte.
In effetti un centrodestra che fino a un paio di settimane fa sembrava granitico si ritrova adesso con Forza Italia che marcia decisa verso una quasi spasmodica richiesta di partecipazione al governo mentre più freddamente (e furbescamente) la Lega di Salvini attende le mosse e i nomi del premier e con Giorgia Meloni che si è auto-emarginata.
Partita complessa e da tenere sotto controllo in chiave di sopravvivenza della coalizione, soprattutto alla vigilia di elezioni amministrative in cui il vento non sembra essere favorevole al centrodestra almeno nelle maggiori città. Una prova elettorale dalla quale la sinistra potrebbe uscirne rafforzata soprattutto se il patto M5S-Pd dovesse essere confermato a livello locale.
Perdere contemporaneamente a Roma, Milano, Napoli e Torino vorrebbe dire spargere altra benzina sul fuoco dell’incendio che potrebbe diventare devastante a destra, soprattutto se il nuovo esecutivo spingesse per cambiare il sistema elettorale in chiave proporzionale dove le spinte separatistiche, identitarie e di necessaria visibilità farebbero da innegabile detonatore, a destra come a sinistra.
Mentre si stenta a trovare nomi per candidati sindaci di prima grandezza adatti a tentare di recuperare nelle metropoli (oggi tutte in mano alla sinistra) le divisioni politiche certamente non aiutano tenendo conto che a breve ci sarà comunque da far condividere, ratificare e soprattutto far digerire a basi elettorali sempre più turbolente, divise e reciprocamente rancorose le indispensabili candidature comuni.
Un altro gol di Renzi, chissà se ci aveva pensato.