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George Schultz e l’Italia. Ritratto dello stratega di Reagan

Di Tom A. Celli

Di George Schultz Kissinger diceva: solo a lui affiderei gli Usa in mezzo a una crisi. L’iconico stratega e segretario di Stato Usa di Ronald Reagan scomparso a 100 anni parlava (e si scontrava) con Craxi e Andreotti. Ecco cosa pensava dell’Italia

Tra i “visti da vicino” da Giulio Andreotti non mancherebbe sicuramente George P. Shultz, il potente segretario di stato con Ronald Reagan morto l’altro giorno all’età di cento anni.

Una volta Henry Kissinger ha osservato di lui: “È l’unico americano a cui affiderei il destino della nazione in una crisi”. E sarà proprio nella tragica occasione del sequestro della nave “Achille Lauro” da parte di terroristi palestinesi che nell’ottobre del 1985 Shultz e Andreotti avranno occasione di conoscersi e misurarsi con le armi più sottili della diplomazia internazionale.

La storia è nota (e complicata) e segna il punto più basso nei rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti dal dopoguerra in poi. Con il premier dell’epoca, il socialista Bettino Craxi, che ha impedito ai marines americani di arrestare gli attentatori di Abbas dopo l’uccisione di un passeggero della nave, l’inerme crocerista Klinghoffer.

Un incidente “molto serio e grave” denuncia subito Washington impegnata a ridisegnare con il repubblicano Reagan le relazioni Est-Ovest. La cosiddetta dottrina reaganiana che avrà importanti effetti non soltanto in politica internazionale, ma anche nell’economia italiana.

C’è chi parla di una seconda “Guerra Fredda”. Tant’è che al ministro degli Esteri sovietico, Andrej Gromyko, gli Usa negano al suo aereo di atterrare a New York impedendogli di fatto la sua partecipazione ai lavori dell’Assemblea generale dell’Onu del settembre 1983.

E dell’atteggiamento intransigente (di chiusura) assunto dagli Usa con lo storico alleato italiano dopo la “crisi di Sigonella” ne è testimone Andreotti che il 13 ottobre ’83 affronta a Bruxelles “faccia a faccia” Shultz. I due già si conoscono. Andreotti ricorda ancora i sorrisetti e la curiosità di Reagan e del suo braccio destro quando alla casa Bianca era tornato con grado inferiore: da presidente del Consiglio a numero due di Craxi allora nelle vesti di presidente del Consiglio.

“È un colloquio difficile, ma la stima e la cordialità reciproca salvaguardano da incomprensioni di fondo e prevalgono su ogni durezza formale”, annota il nostro ministro degli Esteri nei “Diari Segreti” (Solferino Editore). Poi aggiunge: “Diamo incarico ai nostri collaboratori di redigere un comunicato di chiarimento impostato sugli aspetti giuridici del nostro comportamento e senza far menzione delle violazioni che i marines hanno compiuto”.

Ma nonostante Andreotti con le sue doti mediatrici da buon cattolico Dc abbia ammorbidito le ire di Shultz, a Washington non abboccano all’esca e bocciano il comunicato. Il Divo Giulio però non si perde d’animo. Tornato a Roma chiama un suo vecchio amico rappresentante all’Onu, Vernon Walters, e gli mette una pulce nell’orecchio (forse un bluff sullo scacchiere internazionale):

“Faccio presente a Walters – annota ancora Andreotti, senza una immediata rettifica di tono da parte di Washington né io né Craxi andremo alla riunione indetta da Reagan per consultare i principali alleati prima dell’incontro a Ginevra con Gorbacev”.

La mossa ha successo: “Dopo poche ore Walters mi richiama chiedendomi la disponibilità di Craxi, naturalmente subito accordata, a ricevere il numero due del Dipartimento di Stato Whitehead, latore di una adeguata lettera di Reagan”.

E quell’”adeguata lettera” sottolineata da Giulio la dice lunga su come due vecchie volpi della diplomazia come Shultz e Andreotti interpretassero il proprio ruolo giocando anche con gli aggettivi della politica.

Del resto nel suo libro di memorie Henry Kissinger nel 1973 già osserva su Giulio: “I suoi modi professionali nascondevano una mente politica acutissima ed era più interessato alla politica estera di ogni suo predecessore che avessi incontrato”.

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