Finché l’esecutivo ha la fiducia delle Camere è in carica e non può essere a termine, se non attendendo la scadenza naturale della legislatura. Ma ci sono dei “termini” di ingaggio, che nel caso di questo nuovo governo Draghi sono la sconfitta della pandemia, il completamento del Pnrr e le riforme. Il commento di Giuseppe Pennisi
Da un canto, tutti i governi sono “a termine” perché finiscono il loro mandato se, con la scadenza naturale della fine della legislatura, il nuovo Parlamento non si affida a una loro riedizione. Da un altro, nessun governo è “a termine” perché nel corso di una legislatura restano con pienezza di funzioni e di poteri sino a quando hanno la fiducia delle Camere.
Questo semplice principio, incardinato nella nostra Costituzione, deve fare riflettere il giorno in cui viene, presumibilmente, formato il governo presieduto dal prof. Mario Draghi. È necessario ricordarlo perché nell’ultima riunione della direzione del Partito Democratico (Pd) è stata presentata l’ipotesi che questo governo (la cui nascita rappresenta una nuova sconfitta, tra le tante, della Segreteria del Pd) nascerebbe a termine per una durata di 10-11 mesi. L’ipotesi presentata è che il Pd favorirebbe l’ascesa al Quirinale del prof. Draghi e, di conseguenza, nascerebbe un nuovo governo giallo-rosso che porterebbe il Paese alle elezioni del 2023, dopo avere varato una legge proporzionale che schiaccerebbe lo “scissionista” Matteo Renzi e la sua Italia Viva, portando seggi a Largo del Nazareno.
Come dicono gli inglesi, c’è un elefante (ossia molto imbarazzo) nel bel salone con grande terrazza con vista dove si riunisce la direzione del Pd. Il partito ha dovuto fare vari giri di walzer negli ultimi diciotto mesi, subendo forti sconfitte. Oggi non ha più la vocazione maggioritaria che riteneva di avere quando era guidato da Walter Veltroni (il quale si è ora dato al cinema e al giornalismo), ma secondo i sondaggi delle intenzioni di voto, raccoglie non più del 20% dei consensi, anche in quanto pochi elettori hanno capito il rapido passaggio da “o Conte o morte” alla richiesta di quattro ministeri (uno per ciascuna corrente e uno per la Segreteria) nel nascente governo Draghi. Quindi, la tesi del governo a termine serve a soddisfare l’ego del gruppo dirigente e a contenere un’altra emorragia di voti.
Non ha, però, riscontro né nella Costituzione né nei termini (di ingaggio, si potrebbe dire) del governo Draghi. Tali termini sono stati delineati dal Presidente della Repubblica in tre punti: a) sconfitta della pandemia; b) completamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr); c) guida nel riassetto strutturale e alla definizione e attuazione delle riforme necessarie a tale riassetto. La sconfitta della pandemia può richiedere uno-due anni se si mette in atto un piano vaccinale migliore di quello approntato dal governo Conte II. Il completamento del Pnrr e la sua approvazione da parte delle autorità dell’Unione europea (Ue) potrà avvenire entro l’estate (ma successivamente ogni sei mesi l’Ue farà un’attenta valutazione della sua attuazione). Più complesso stimare la durata del programma di riassetto strutturale e i tempi delle relative riforme. Probabilmente tra i sei e gli otto anni.
Draghi è un public servant. È possibile che voglia espletare i “termini” del proprio incarico senza ascendere al Colle del Quirinale, nonostante gli ne venga data l’opportunità. Dei sette governi De Gasperi numerosi si sono succeduti senza cesura di continuità nonostante elezioni politiche.
La Segreteria del Pd si metta l’animo in pace e cerchi, invece, di evitare un mesto declino delle forze di un partito che nasce dalla fusione di movimenti di antica nobiltà.