Skip to main content

Phisikk du role – Dibba, Davide e Jean Jacques

La rottura dibattistiana (da quel che si comprende seguita solo da una decina di parlamentari) che effetti potrà generare? Al netto della consapevolezza, credo universalmente condivisa, della non replicabilità del risultato elettorale ottenuto nel 2018, l’uscita degli ultras potrebbe rappresentare il vero fatto nuovo per un movimento chiamato alla prova di maturità. La rubrica di Pino Pisicchio

Anche il governo più amato del secolo avrà i suoi oppositori. Giorgia Meloni, che aveva già fatto sapere, peraltro con una certa inusuale sobrietà, che avrebbe scelto di stare fuori, salvo valutare i singoli provvedimenti in Parlamento.

E adesso anche Dibba, un monumento nazionale al sincretismo di culture e religioni che solo l’arte concettuale del secondo novecento ha saputo regalarci nelle sue opere migliori. Laddove il concetto è così essenza concettosa di altri concetti gonfi di significante, che lo puoi girare a 360 gradi, facendoci entrare Che Guevara, Trump e Francesco d’Assisi. Basta shakerare al punto giusto. Le dichiarazioni di Di Battista, tuttavia, sono molto chiare: un’Opa sul Movimento con appello alla nostalgia canaglia delle origini antagoniste. Aria di secessione con coda giudiziaria per il brand, forse. Sicuramente un guanto lanciato contro chi rappresenta il Movimento in Parlamento, ma anche contro il Padre Beppe Grillo, una sorta di lacerazione di sapore edipico.

A naso potrebbe trovare la sponda di Davide Casaleggio, per adesso in una zona di condiscendenza malmostosa nei confronti del governo. Vedremo poi. Di certo il nuovo vento della politica nell’era di Supermario tira nel senso di una ristrutturazione complessiva dei partiti: “Scomporre per ricomporre” sarà il comandamento, che evoca un sacco di cose, da Moro e le correnti democristiane, alla pittura futurista, all’esplosione della metafisica nel pensiero di Heidegger.

C’è da aggiungere, però, ancora qualcosa al ciclo del Movimento Cinque Stelle. La prima: la rottura dibattistiana (da quel che si comprende seguita solo da una decina di parlamentari) che effetti potrà generare? Al netto della consapevolezza, credo universalmente condivisa, della non replicabilità del risultato elettorale ottenuto nel 2018 (quasi un terzo dei voti di tutti gli italiani), l’uscita degli ultras potrebbe rappresentare il vero fatto nuovo per un movimento chiamato alla prova di maturità.

Tre anni di governo e, per alcuni leader, otto anni di attività parlamentare, con l’accettazione di paradigmi, prassi e responsabilità che certamente non possono combaciarsi con una pratica dilettantistica e antagonista della gestione della cosa pubblica, rappresentano un’esperienza in grado di modificare profondamente l’approccio con la politica.

C’è, allora, da ridisegnare una forma partito, che è cosa diversa dal Movimento, riempendone le ragioni con parole d’ordine nuove, accettate prima nella pratica di governo e poi nel catalogo dei principi. L’europeismo, per esempio, è una di queste, ma aggiungeremmo la visione green come scelta di campo e una sensibilità “genetica” alla cultura digitale.

Più di un paio d’anni di lavoro fino alle prossime elezioni non sono pochi: l’edificazione di una formazione politica riformista è possibile, anche a costo di perdere gli estrogeni di un consenso-quello del 2018- troppo largo da poter essere mantenuto in una fase “costruens”. In ultimo la piattaforma Rousseau, fonte di inesauribili polemiche sulla possibilità di manipolazione dei dati inseriti in uno strumento la cui proprietà è nelle mani di un privato.

Personalmente credo che la Rete possa essere uno straordinario strumento di “democrazia continua”, di raccordo tra rappresentanza e rappresentati, soprattutto se si riuscirà a fare una riforma elettorale capace di rimettere nelle mani degli elettori la scelta eliminando le liste bloccate.

Dunque abituiamoci a dialogare in questi nuovi “luoghi” della politica, ma attenzione: facciamo che la gestione dello strumento sia nelle mani non di privati impenetrabili, bensì di terzi garanti e controllabili. La democrazia nei partiti è tutto: senza siamo al medioevo della politica. Sovrani assolutisti e incontrollabili e, a seguire, signorotti locali esosi con tanti capricci. Avete presente la scena di Troisi e Benigni alla dogana? “ Cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino”, ecco, una cosa così.


×

Iscriviti alla newsletter