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Partiti, la luna di miele con Draghi continua. Fino a quando? La bussola di Ocone

I partiti dovrebbero capire che fra i loro interessi c’è anche quello di maturare, tutti, e far sì che presto la dialettica politica riprenda su binari da Paesi civili. Cioè con meno slogan e più fatti, meno ideologie e più divisioni su idee e valori ugualmente legittimi. In una parola: senza la reciproca delegittimazione morale che ci lega ancora, mani e piedi, ad un passato che non passa. La bussola di Corrado Ocone

La luna di miele non è finita, anzi è appena cominciata. Le parole di approvazione nei confronti di Mario Draghi, del discorso con cui si è presentato ai senatori, si sprecano. Ma che per i partiti si tratti solo di un matrimonio di interesse, e che l’incompatibilità fra loro e anche con il presidente quando le sue scelte si appaleseranno, possa sempre esplodere da un momento all’altro, è fin troppo evidente.

In verità, Draghi ha deluso un po’ tutte le forze politiche e, forse, ha deluso un po’ anche chi lo ascoltava perché ha tenuto il discorso molto nell’ordine valoriale e non è sceso nei dettagli attuativi, come ci si aspetterebbe da un tecnico. Era probabilmente troppo presto per farlo, ma qui forse si capisce anche perché il partito più sotto pressione, anche giornalistica, sia oggi quello di Matteo Salvini. La Lega ha impostato molto pragmaticamente la sua fiducia al nuovo premier: guardando ai fatti, soprattutto ad un rilancio produttivo del Paese, e a una sconfessione almeno parziale delle scelte statalistico-assistenzialistiche, tendenzialmente da “decrescita felice”, del governo precedente.

Quanto ai valori, si capisce che per la Lega è ancora presto misurarsi sull’europeismo, perché il processo di elaborazione interna è appena iniziato e la scommessa sta nel trovare una “terza via” fra un sovranismo antieuropeista e isolazionista e un europeismo acritico quale è quello dopo tutto in voga negli ambienti mainstream.

L’impostazione data da Draghi, fortemente orientata ad una conciliazione fra interesse nazionale ed europeo, il tutto sotto la cornice dell’atlantismo, può essere un buon viatico. Quanto a Nicola Zingaretti, le parole usate sono di circostanza. Che l’Italia sia in “buone mani”, è abbastanza scontato. E che il Pd non possa non fare parte della “sfida” lanciata da Draghi, lo è altrettanto. Non è dubbio che però proprio la soluzione politica o semi-politica trovata per la crisi sia quella che più mette in crisi un partito che prima su Conte, poi sulla maggioranza Ursula antisovranista, aveva puntato tutte le carte.

L’incontro fra Zingaretti e Salvini, svoltosi ieri, era un atto dovuto, ma è indubbio che esso ha messo più in imbarazzo il leader e il mondo dem che non una Lega sin dai tempi del primo governo Conte orientata anche a una sorta di pragmatismo postideologico. Solo che, se in quel caso, il collante della maggioranza era una schizofrenica divisione dei compiti, a Draghi ora è chiesto un lavoro di sintesi o di proposta che per forza di cose scontenterà qualcuno e forse tutti.

Chi forse prima di tutti esploderà sarà probabilmente il Movimento Cinque Stelle, che per tenere ancora ferme le forti spinte centrifughe si autoassegna un ruolo di “controllore” dell’azione governativa dall’interno che difficilmente un governo presieduto da Draghi potrà concedere a chicchessia.

Scontato il no di Giorgia Meloni, tutto il resto è un coro di approvazioni, e tutte sempre fondate sulla volontà di vedere quello è il “bicchiere mezzo pieno”, cioè la parte di Draghi più vicina alle proprie posizioni. È indubbio che un altro scossone tendenzialmente in grado di procurare danni arriverà dalla prossima nomina di viceministri e sottosegretari.

Draghi, forse con l’aiuto del Presidente della Repubblica e del “manuale Cencelli”, dovrebbe superare indenne anche questo ostacolo, per poter poi iniziare la navigazione. A quel punto si capirà, sempre probabilmente, che non solo si tratta di un matrimonio di interesse quello fra i partiti e il premier, ma che Draghi stesso ha anche una concezione abbastanza patriarcale della famiglia. Detto in soldoni: sui dossier caldi, ascolterà tutti ma deciderà da solo. D’altronde, questa è l’unica condizione per riuscire. E i partiti dovrebbero capire che fra i loro interessi c’è anche quello di maturare, tutti, e far sì che presto la dialettica politica riprenda su binari da Paesi civili. Cioè con meno slogan e più fatti, meno ideologie e più divisioni su idee e valori ugualmente legittimi. In una parola: senza la reciproca delegittimazione morale che ci lega ancora, mani e piedi, ad un passato che non passa.

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