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Pd e M5S vogliono riesumare la tassa sul morto

La proposta di Movimento Cinque Stelle, Partito democratico e Liberi e Uguali di abbassare la franchigia per la tassa di successione a 150.000 euro, colpirebbe essenzialmente il ceto medio. In secondo luogo, nei Paesi in cui la “tassa sul morto” è stata re-introdotta, capitali ed investimenti sono corsi all’estero…

Nella messa a punto delle misure legislative del governo, rispunta una vecchia idea, che era già apparsa nel 2015: far risorgere alla grande la “tassa sul morto” nei Paesi anglosassoni viene chiamata l’imposta di successione. In effetti, la “tassa sul morto”, abolita ai tempi di uno dei governi Berlusconi quando analisi della stessa Ragioneria Generale dello Stato dimostrarono che il costo dell’esazioni superava il gestito che si riscuoteva, è stata riesumata dai governi di centro sinistra ma prevede per ciascun erede diretto una franchigia di un milione di euro. Ciò implica che gran parte del ceto medio ne venga esentato mentre le grandi ricchezze quando trasferite, per successione, agli eredi sono soggette all’imposta. La proposta ora promossa dal Movimento Cinque Stelle (M5S) e dal Partito democratico (Pd) oltre che da Liberi e Uguali (LeU) abbasserebbe la franchigia a 150.000 euro, colpendo essenzialmente il ceto medio. Il M5S la trasformerebbe in un’imposta di scopo per finanziare quel “reddito di cittadinanza” sempre più sotto il mirino di opinione pubblica e parlamento man mano che le procure scoprono che beneficia cosche mafiose, narcotrafficanti, lenoni, prostitute, evasori totali ed altre categorie “benemerite” del genere.

Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e delle Finanze dovrebbero chiedere ai proponenti perché l’imposta di successione è stata abolita in Australia nel 1979, in Austria nel 2008, in Canada nel 1972, a Hong Kong nel 2006, in India nel 1985, a Israele nel 1981, in Nuova Zelanda nel 1992, in Norvegia nel 2014, in Russia nel 2006, a Singapore nel 2008, in Svezia nel 2005 ed in numerosi Stati Usa (Louisiana, New Hampshire, Utah, per citarne alcuni all’inizio della presidenza Obama). In molti altri Stati, ad esempio in Francia, la franchigia è stata aumentata non diminuita.

Sarebbe bene prendere in mano saggi di Henry Ohlsson, professore della Università di Upsin, di profonda fede socialista e di lunga militanza a sinistra in un Paese, il Regno di Svezia, egualitario, in cui Re e Primo Ministro vanno in bicicletta, non in auto blu. Due saggi di Ohlsson sono specialmente interessanti: a) The Legacy of the Swedish Gift and Inheritance Tax, 1884-2004 – quello che ci ha lasciato l’imposta di successione svedese – pubblicato dall’Uppsala Center for Fiscal Studies, Uppsala University, Working Paper No. 2009/13 e b) “Inherited Wealth over the Path of Development: Sweden, 1810 2010″ uscito come IFN Working Paper No. 1033. Lavori accademici ma con un forte profilo politico. Dai due lavori, si deduce che il gettito è sempre stato scarso tranne nella seconda metà degli Anni Quaranta quando vennero per un lustro aumentate le aliquote e a ragione degli effetti della seconda guerra mondiale il valore di doni, lasciti ed eredità ebbe un’impennata. Pronto rientrata, non perché gli svedesi si impoverissero o, divenuti egoisti, gozzovigliassero senza curarsi dei propri figli, ma in quanto l’ascesa dello stato sociale (servizio sanitario, pensioni). In aggiunta Ohlsson, con un team di collaboratori fa letteralmente a pezzi il lavoro statistico di Piketty sulle diseguaglianze: si basa su quindici anni negli USA, in Francia ed in parte del Regno Unito. Estenderlo all’universo mondo ed estrapolarlo all’infinito, comporta una severa bocciatura a Uppsala.

In secondo luogo, nei Paesi in cui la “tassa sul morto” è stata re-introdotta e portata ai livelli elevati, capitali ed investimenti sono corsi all’estero, con le conseguenze che si possono immaginare su crescita ed occupazione.

L’Istituto Bruno Leoni ha opportunamente pubblicato il saggio “L’imposta di successione tra socialismo e liberalismo. Il ‘caso’ Luigi Einaudi” di Nicola Fiorini in cui si analizzano le tesi einaudiane in materia, mostrando la difficile compatibilità tra questo tributo, che pure Einaudi riteneva necessario, e i principi cardine del pensiero liberale classico. In particolare, l’autore evidenzia come per Einaudi e per molti altri liberali del suo tempo fosse ingiusta una società che non riconoscesse eguali punti di partenza. Un simile cedimento dinanzi alle tesi socialiste, però, apre la strada a ogni forma di interventismo e di limitazione delle libertà. Riflettendo sulla imposta di successione e rileggendo Einaudi, Fiorini si interroga sulla capacità di larga parte del miglior liberalismo del secolo scorso di offrire una vera alternativa ai valori, oltre che ai progetti, di quanti stavano favorendo quell’espansione dei poteri pubblici che, nel corso del tempo, ha sempre più ristretto le nostre libertà e ha reso quanto mai iniqua la società in cui viviamo. Einaudi pensava ad un meccanismo che incentivasse gli eredi ad incrementare il patrimonio ricevuto da genitori in modo che ne beneficiasse, tramite l’imposta sul reddito, l’intera comunità. Per leggere il breve saggio, cliccare qui.


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