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Dottore, che sintomi ha la meritocrazia?

Il  Direttore Generale uscente dell’Università Luiss di Roma ha scritto agli studenti. Ha preso carta e penna per salutarli, visto che il suo incarico è in scadenza, dopo otto anni di servizio. Pierluigi Celli è uomo di grande intuito e talento; manager di successo, è stato per molti anni in Rai dove si è distinto per la sua operosità e laboriosità. Presso l’ateneo confindustriale, era solito intrattenersi con gli studenti, con i quali trascorreva ore ed ore a parlare, progettare eventi e manifestazioni, dibattiti ed iniziative; chiunque abbia studiato in quel contesto lo ricorderà di certo. Ma cosa resta dell’operato dirigenziale di Celli? O meglio: che tipo di messaggio egli ha voluto lasciare ai suoi studenti?

A leggere la sua lettera – onesta, giustamente distaccata ma al tempo stesso diretta e sincera – trapela il desiderio di trasmettere agli adulti di domani la voglia di farcela; di non arrendersi di fronte alle difficoltà oggettive della vita e soprattutto di un mercato del lavoro che agevola chi è già dentro e non considera invece chi è fuori. Tuttavia, una laurea oggi non basta; anzi, risultano maggiormente considerati dallo Stato e da chi è alla guida del governo coloro che hanno conseguito un diploma e che hanno preferito non continuare il proprio percorso di studi. Ciò che Celli invita a fare, insomma, è non perdere la speranza di poter cambiare il contesto in cui viviamo, restando sempre svegli, vigili e attenti, ma soprattutto desiderosi di guardare il mondo con occhi diversi: un mix tra i messaggi di Papa Francesco e del compianto Steve Jobs.

Celli non è nuovo all’invio di missive; qualche anno fa, fece molto parlare di sé quando indirizzò al figlio Mattia  un messaggio, concepito sottoforma di lettera/articolo, in cui invitava caldamente il giovane a prender armi e bagagli e a fuggire da questo nostro sciagurato Paese, perché altrove avrebbe trovato fortuna e personale realizzazione. Non sappiamo attualmente di cosa si stia occupando il ragazzo, né è obiettivo di chi esprime un legittimo pensiero documentarsi in merito; ma il punto è un altro e rimanda all’atavico male italiano: l’assenza di meritocrazia; per cui si procede per cooptazione e non per competenza. Il che, si badi bene, non è per forza una iattura: anche in America la pratica della segnalazione è assai utilizzata, sta poi al segnalato farsi strada e dimostrare sul campo ciò di cui è capace. Ma siamo così sicuri che oggi l’eterna dicotomia tra i Figli di Nessuno e i Figli di Qualcuno non crei più problemi, neppure ai direttori generali di atenei che rappresentano ancora – e per fortuna – una eccellenza sul piano formativo? Quanti ragazzi disperati avrà visto Celli, e con quanti di essi avrà dialogato, spiegando loro che la speranza, quella sì, non bisogna mai perderla? E che cosa avranno riportato di questi colloqui quegli stessi ragazzi una volta tornati a casa, da genitori che per farli studiare si sono magari indebitati?

Tutto questo non trapela, resta semmai sullo sfondo, come in quelle storie in cui il finale è tutto rose e fiori e poi dietro le quinte ne succedono di ogni. Ma, lettera o non lettera, commiato o non commiato, la speranza non la si perderà: del resto, non è questo che ci invita a fare Papa Francesco?


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