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Trump 2024? Unger svela i piani (e i guai) del Tycoon

Di David C. Unger

Donald Trump non è mai andato via. L’intervento alla kermesse conservatrice CPAC di Orlando è un manifesto per il 2024. Ma il Tycoon vuole scendere in campo già fra qualche mese (guai giudiziari permettendo). Il commento di David C. Unger, professore di Politica estera americana alla Johns Hopkins ed ex firma del New York Times

Non è vero che Donald Trump è tornato. Trump non se ne è mai andato. Lo ha chiarito in tutti i modi questa domenica, durante il suo atteso intervento al Cpac (Conservative political action conference). È vero, non è più alla Casa Bianca, ma è convinto di doverci stare e come lui la pensano milioni di americani.

La prima notizia che emerge dalla kermesse è che Trump, a due mesi dall’assalto al Congresso che ha segnato la fine della sua presidenza, ha trovato una piattaforma politica. Cpac ha infatti tutte le carte in regola per diventare la nuova “Trump organization”.

La seconda riguarda invece il suo ruolo all’interno del Partito repubblicano. Trump, oggi, controlla il partito. Ha dimostrato di avere la lealtà di un’enorme fetta dei suoi elettori. E tanti fra i repubblicani che hanno preso le distanze a gennaio, da Lindsey Graham a Mitch McConnell fino a Nikki Haley, oggi parlano con estrema cautela. Da politici calcolatori quali sono, hanno capito che osteggiare Trump può avere un costo politico alto.

La terza è più che altro una conferma. Trump vuole correre per il 2024. Ma vuole fare molto di più. Cioè diventare il pilastro dominante del Partito repubblicano e l’ago della bilancia di tutte le elezioni che lo attendono, a partire da quest’anno, in Virginia o in New Jersey. Non aspetterà quattro anni, vuole essere già oggi il “chief broker”, avere un “suo” movimento, far sentire la sua voce, tornare al centro del circo mediatico.

Qui arriviamo a due ostacoli. Il primo è di natura legale. Fino a poche settimane fa esistevano due modi per mettere al tappeto l’ex presidente. L’esclusione dai pubblici uffici è tramontata con l’impeachment, che non è passato al Senato.

Si poteva tentare un’altra strada, tramite il 14esimo emendamento. Una previsione nata per gli Stati confederati, per cui chiunque abbia fomentato un’insurrezione contro lo Stato non può correre per l’elezione a presidente. Ma in pochi saranno disposti a votarla. Certo, ci sono altri intoppi. Potrebbero provar a colpirlo sulle tasse, o a condannarlo per altri crimini che mettano a rischio la sua candidatura, non sappiamo ancora quali.

Il secondo grande ostacolo riguarda i social network. Anche questo, però, può essere aggirato. Trump è bannato a vita da Twitter, ma il ban di Facebook è temporaneo ed ha ancora Parler. Può virare su altre piattaforme social, crearne una, perfino sfidare quei ban in un tribunale. Avrà una voce e la farà sentire, come ha fatto questa domenica.

Un giorno dopo l’altro, criticherà qualsiasi decisione presa dall’amministrazione Biden. Ogni occasione è buona. La crisi energetica in Texas, l’aumento dell’immigrazione al confine messicano. Trump ha già detto che il primo mese di Biden nello Studio Ovale ha dimostrato che si tratta della “peggiore amministrazione della storia americana”. Lui sceglie i titoli, la storia viene dopo. E non deve necessariamente essere vera.

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