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Vi racconto la febbre (europea) del vaccino. Scrive Pennisi

Gli Stati dell’Ue, apparentemente d’accordo nell’attuare un piano vaccinale concordato tra loro, si fanno gli sgambetti per accaparrarsi dosi al di fuori di quelle inizialmente pattuite, trattano con intermediari di dubbia reputazione, e sono, su un poco trasparente mercato secondario, in conflitto aperto gli uni contro gli altri. Ma perché?

Nell’Unione Europea (Ue), si è scatenata una febbre del vaccino simile alla febbre dell’oro nell’Ovest degli Stati Uniti a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Gli Stati dell’Ue, apparentemente d’accordo nell’attuare un piano vaccinale concordato tra loro, si fanno gli sgambetti per accaparrarsi dosi al di fuori di quelle inizialmente pattuite, trattano con intermediari di dubbia reputazione, e sono, su un poco trasparente mercato secondario, in conflitto aperto gli uni contro gli altri.

Ciò ha una conseguenza politica immediata: soffia sull’euroscetticismo di varie forme e natura e rende, in tal modo, più difficile il cammino verso una ripresa ed un rafforzamento comune sul sentiero del Next Generation Eu tramite la Recovery and Resilience Facility. Stati che si guardano in cagnesco nella «febbre del vaccino» sono, inevitabilmente meno propensi a collaborare od anche solamente a guardare con magnanimità i programmi di riassetto strutturale dei loro, per così dire, soci.

Si sarebbe potuta evitare la febbre del vaccino? E, soprattutto, che lezioni si sono apprese per non cadere di nuovo in una simile trappola?

L’idea di acquisti in gruppo per assicurare una provvista adeguata di dosi a tutti i 27 era, senza dubbio, attraente. Se l’Ue fosse stata l’unico acquirente sul mercato mondiale si sarebbe trattato di un caso di monopsonio in cui l’Unione avrebbe dettato le condizioni in termini di quantità, consegne e prezzi. L’Ue non è l’unico compratore ma la forza contrattuale dei 27 sarebbe stata comunque maggiore rispetto a quella dei singoli Stati dell’Unione che si fossero presentati individualmente sul mercato, specialmente dato che le maggiori case farmaceutiche coinvolte hanno sedi sociali (ed in gran misura laboratori di ricerca ed impianti di produzione al di fuori dell’Unione).

Tuttavia, è meno agile muoversi in 27 che singolarmente. Soprattutto se la maggiore azienda farmaceutica di uno dei soci intende sviluppare un proprio vaccino e teme che l’acquisto in comune le faccia perdere opportunità di mercato. L’Ue si è mossa più lentamente degli altri maggiori acquirenti (Stati Uniti e Gran Bretagna) e dopo aver tranquillizzato la francese Sanofi Pasteur (il cui vaccino non sarà disponibile prima della seconda metà del 2021) che avrà una quota del mercato dell’Unione.

I 27 hanno dovuto negoziare al loro interno, una trattativa complessa perché occorreva bilanciare interessi nazionali con interessi europei ed in cui ciascun negoziatore era alle prese con due esigenze: soddisfare richieste pressanti dai propri cittadini man mano che la seconda fase della pandemia si accentuava e dare un mandato alla Commissione europea (incaricata di agire per i 27) tale da consentire margini di trattativa.

Inoltre, la Commissione europea, pure se ben intenzionata e con funzionari di valore, non ha esperienza di appalti e contratti del genere. Ed è stazione appaltante di norma per la costruzione e l’arredo dei propri uffici. Ha una funzione di monitoraggio sugli appalti di beni e servizi acquisiti con i propri finanziamenti (Fondi strutturali, Fondi di coesione, Fondi di sviluppo). Ed è la prima volta che si è trovata a negoziare con le maggiori imprese farmaceutiche mondiali, per di più quasi sempre con sedi sociali al di fuori dell’Ue. In tali condizioni, non deve sorprendere che sono stati conclusi contratti non ottimali: la Ue era la parte debole della trattativa non quella forte. A rendere il quadro più complicato, ove mai ce ne fosse bisogno, nell’Ue i vaccini necessitano una doppia verifica ed autorizzazione: da parte delle autorità europee e da parte di quelle nazionali. Ciò implica ovviamente tempi più lunghi per passare dalla progettazione di piani vaccinali all’azione.

La conseguenza è che ad oggi soli il 5% delle popolazione dell’Ue ha ricevuto almeno una prima dose di uno dei vaccini autorizzati, rispetto al 14% negli Usa, al 28% in Gran Bretagna ed al 54% in Israele. Cosa fare a questo punto? Occorre, in primo luogo, riferire che secondo l’Olaf – l’autorità di controllo delle istituzioni europea- non ci sono state scorrettezze nei Palazzi di Bruxelles. Probabilmente, solo scarsa esperienze e poca cautela nel farsi attribuire un compito superiore alle proprie capacità.

All’ultimo Consiglio dei Capi di Stato e di governo dell’Ue (tenutosi il 25 ed il 26 scorso), la prima ed estesa (3 pagine) parte della dichiarazione finale dei 27 partecipanti riguarda il piano vaccinale e dà la priorità – come ha richiesto con fermezza e determinazione il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi – ai cittadini dell’Ue; solo dopo avere raggiunto un tasso elevato di vaccinazione nell’Ue si potrà progettare di destinare parte dei vaccini disponibili agli Stati associati dell’Africa, dell’Asia e del Pacifico (come richiesto dalla Francia).

La dichiarazione pone l’accento sulla necessità che l’Ue mostri unità e fermezza nel richiedere alle case farmaceutiche di mantenere i propri impegni contrattuali. La dichiarazione finale propone anche di «migliorare il coordinamento dell’Ue, in linea con le competenze dell’Unione sancite dai trattati, al fine di garantire una prevenzione, una preparazione e una risposta più efficaci in caso di future emergenze sanitarie. Non si tratta certo di andare verso una politica sanitaria comune, che, tra l’altro, cozzerebbe con il principio della sussidiarietà in base al quale le decisioni sono prese al livello più vicino possibile ai cittadini, ma di una un’Unione più stretta in caso di emergenze sanitarie.

Allo stato attuale è difficile fare di più a livello dell’Ue. Tuttavia, sia le autorità europee sia quelle dei singoli Stati dell’Unione dovrebbe fare uno sforzo per rendere trasparente il così detto mercato secondario permettendo l’acquisto di dosi suppletive direttamente dalle aziende senza passare per intermediari.


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