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Da Napoleone a oggi. Tocci legge l’autonomia strategica europea

A differenza del periodo napoleonico, in cui l’integrazione fra Stati passava prima per l’imperialismo espansionista, l’Europa nell’epoca attuale ha forgiato, attraverso il suo potere di attrazione, un modello integrativo differente, creato con i mercati e la moneta, non con la difesa. Si è dovuto aspettare però il 2020 affinché l’Europa si ponesse come obiettivo la propria autonomia strategica anche a livello internazionale

L’Europa di Napoleone fu un continente in cui l’integrazione passava per l’imperialismo espansionista. L’Europa di oggi ha raggiunto un livello di integrazione così come di espansione senza precedenti nella storia del continente e lo ha fatto attraverso il potere di attrazione. A differenza del periodo napoleonico, il progetto europeo è stato forgiato attraverso mercati e moneta, non con la difesa. Solamente negli ultimi anni l’Europa ha iniziato ad alzare lo sguardo, ponendosi come obiettivo quello di una propria autonomia strategica anche a livello internazionale.

Questa aspirazione strategica è stata lanciata nello scorso ciclo politico-istituzionale, in cui le questioni di politica estera hanno ricevuto molta più attenzione rispetto a quanta ne ricevano adesso. Ciò è dovuto in parte a fattori esogeni, come la crisi in Ucraina, la Brexit, l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Ma nel precedente ciclo l’attenzione verso l’esterno era dovuta anche a un fattore endogeno: la totale incapacità dell’Unione europea di progredire su temi come la riforma della zona euro e la questione dell’immigrazione.
Nel 2020 il quadro è invece completamente cambiato. A causa della pandemia l’Unione ha scoperto di essere capace di coesione interna e maggiore solidarietà su diverse questioni, a partire dall’accordo sulla ripresa e la resilienza europea. E questo elemento ha certamente aperto nuove possibilità, dando slancio a quel principio-condizione per lo sviluppo incisivo di una politica estera europea: la solidarietà tra Stati membri.

È assolutamente irrealistico pensare che, in Europa, ci sia una percezione comune delle minacce. La geografia, la storia e la cultura politica degli Stati membri contestano una simile visione. Ciò su cui l’Unione deve e può lavorare a livello politico è piuttosto la solidarietà. Se da un lato queste misure interne hanno l’effetto di far sperare in possibili nuovi e positivi sviluppi in ambito di autonomia strategica, dall’altro negli ultimi diciotto mesi l’attenzione dell’Ue per le questioni di politica estera, di sicurezza e di difesa sembra tuttavia scemata. Tale tendenza si è evidenziata con chiarezza nel contesto delle discussioni sul bilancio europeo. Mentre il budget è stato aumentato considerevolmente, la quota destinata alla politica estera, al Fondo europeo per la difesa e al Fondo europeo per la pace è stata sostanzialmente dimezzata rispetto alle aspettative.

L’Unione europea rischia quindi di diventare più “introversa” di qualche anno fa. Nel bel mezzo di una pandemia è naturale che l’attenzione si sposti verso le questioni socio-economiche e sanitarie interne ma detto ciò, come sappiamo, le crisi intorno a noi rimarranno irrisolte.
In definitiva, la questione centrale per quanto riguarda l’autonomia strategica dell’Unione europea risiede proprio sulla necessità di instaurare una volontà politica comune di assumersi rischi e responsabilità per gestire la realtà che ci circonda.

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