La giunta militare continua la repressione, revocando la licenza di cinque media indipendenti, i più importanti del Paese, e arrestando decine di giornalisti. Ma la popolazione, scontenta, non ci sta e aggira la censura tramite Telegram, Twitter e servizi Vpn. L’appello delle Nazioni Unite
Non si ferma la repressione in Myanmar. La polizia continua a scontrarsi con i manifestanti che protestano contro la giunta militare che ha compiuto il colpo di Stato del 1° febbraio. Hanno perso la vita circa 60 persone, di cui 2 rappresentanti del partito Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) della leader Aung San Suu Kyi.
Un articolo di Al Jazeera sostiene che Zaw Myat Linn, funzionario di Nld, “è morto in custodia, dopo essere stato arrestato […] è la seconda figura del partito a morire in detenzione”. I parenti cercano di recuperare il corpo all’ospedale militare. Zaw Myat Linn dirigeva un istituto professionale nella città più grande del Myanmar. La prima vittima politica di Nld è stata Khin Maung Latt, responsabile della campagna per un parlamentare del partito eletto nel 2020.
Un servizio pubblicato dalla testata Irrawaddy sostiene che un “proiettile italiano è stato utilizzato nell’assalto della polizia del Myanmar a un’ambulanza”. L’articolo, firmato dal ricercatore ed esperto di commercio di armi Yeshua Moser-Puangsuwan, riferisce che la pallottola è stata esplosa il 3 marzo nel quartiere di North Okkalapa di Yangon. L’azienda produttrice, la Cheddite srl di Livorno, ha smentito qualsiasi fornitura diretta, per cui probabilmente si tratta di un altro caso di triangolazione illegale. Sulla vicenda si sono pronunciati i senatori del Movimento 5 Stelle della Commissione Esteri, che hanno chiesto l’apertura di un’indagine.
LA CENSURA MILITARE
Certo è che i militari birmani cercano di controllare anche la narrazione dei fatti, la diffusione informativa di quanto sta accadendo nel Paese. Per questo, hanno deciso di revocare la licenza di cinque mezzi di comunicazione indipendenti. Si tratta di Myanmar Now, Mizzima, DVB, 7Day e Khit Thit.
L’emittente statale MRTV, controllata dai militari, ha riferito che “queste imprese di comunicazione non hanno più il permesso di trasmettere via tv o divulgare informazione usando qualsiasi tipo di piattaforma o mezzo tecnologico”. Questi media erano stati in prima linea nella copertura delle proteste contro il colpo di Stato, trasmettendo video in diretta che dimostrano gli eccessi della repressione della polizia e militari, e anche pubblicando post e commenti sui social network.
GIORNALISTI DIETRO LE SBARRE
Tin Htet Paing, giornalista di Myanmar Now, ha scritto su Twitter: “L’esercito birmano è entrato oggi in redazione. Déjà vu”. Martedì scorso sono stati arrestati il co-fondatore di Myanmar Now, Han Thar Nyein, e il redattore capo, Nathan Maung.
L’Ong birmana Fortify Rights ha denunciato la giunta militare che ha arrestato più di 20 giornalisti dal mese di febbraio. “Questo provoca paura e un ambiente che non porta alla libertà di espressione e libertà di riunione nel Paese”, ha denunciato a France 24 John Quinley, esperto di diritti umani di Fortify Rights.
La giunta militare aveva avvertito che ci sarebbero state gravi conseguenze per chi utilizzava termini come “colpo di Stato”, “regime” o “giunta”, in riferimento al nuovo governo. Secondo Myanmar Now, i militari hanno arrestato in queste settimane 35 giornalisti e solo 19 sono stati rilasciati. Dieci giornalisti sono accusati di infrangere la legge di ordine pubblico e rischiano fino a tre anni di carcere.
LA FORZA DEI SOCIAL (E DELLE SIM)
Ma i giornalisti di Myanmar Now, e anche di altri media censurati, hanno dichiarato che non intendendo restare in silenzio. Continueranno a raccontare le azioni dei militari usando i social network.
Mizzima ha annunciato tramite Facebook – dove ci sono più di 16 milioni di follower – che continuerà “la lotta contro il colpo di Stato e a favore del ripristino della democrazia in Myanmar pubblicando e trasmettendo attraverso le piattaforme multimedia”, cioè, YouTube, Twitter e Instagram.
Il gruppo multimedia DVB ha dichiarato che continuerà a trasmettere via tv satellitare e online. All’agenzia Ap il direttore Aye Chan Naing ha confessato di essere preoccupato per la sicurezza dello staff e i reporter, “ma ora che tutti i cittadini del Paese sono diventati giornalisti non c’è modo che i militari possano paralizzare il flusso di informazione”.
Alla vigilia del golpe però i generali avevano cercato di bloccare la piattaforma Facebook, provocando un blackout nel Paese per fare saltare il funzionamento della rete (qui l’articolo di Formiche.net).
La soluzione, in questo caso, sono state le reti private virtuali o servizi di Vpn per evadere i controlli. Come racconta France 24, in Myanmar alcuni giovani usano questi strumenti che permettono di navigare in rete senza localizzazione o identità. “Un’altra forma di evadere i controlli è attraverso l’uso di schede sim tailandesi che si usano per viaggiare, per cui funzionano perfettamente sul territorio birmano. Hanno però un costo di circa 20 dollari”. Molti dei servizi premium di Vpn sono acquistati da famigliari e amici in Paesi come Bangladesh per poi essere usati in Myanmar.
Facebook però resta il social network più usato in Myanmar, ma la compagnia è stata molto criticata per non avere contribuito a denunciare la forma in cui l’esercito usava la piattaforma per incitare all’odio contro la minoranza musulmana rohingya. Così Instagram, Twitter e Telegram hanno guadagnato spazio tra gli utenti. Gli hashtag #WhatsHappeningInMyanmar e #HearTheVoiceofMyanmar sono diventati i nuovi telegiornali del Paese.
UNA LEGGE DI CYBERSECURITY
Per l’organizzazione Human Rigths Watch (HRW) la revoca delle licenze fa parte di un “attacco maggiore della giunta militare alla libertà di stampa e alla capacità di giornalisti di fare il proprio lavoro senza essere intimiditi o arrestati […] Sono un chiaro tentativo di sopprimere le notizie sull’opposizione generalizzata contro il regime militare. L’esercito ha anche cercato di nascondere la crudeltà con la quale si risponde ai manifestanti, e le violazioni alle norme internazionali e la libertà di stampa”.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, sta anche seguendo la vicenda, e ha chiesto “la massima moderazione e sollecita il rilascio sicuro di tutti senza violenza o arresti”, secondo dichiarazioni del portavoce Stephane Dujarric.
Per aumentare il controllo, la giunta militare ha un progetto di legge di cybersecurity. La nuova normativa richiederà ai fornitori di servizi internet di consegnare alle autorità i dati personali degli utenti. Inoltre, prevede l’obbligo di bloccare o eliminare contenuti che, secondo la giunta militare, siano considerati notizie false o informazione che causa odio o irrequietezza. Questi reati saranno sanzionati con tre anni di carcere.