Il presidente vuole dimostrare che con la sua guida gli Usa sono in grado di uscire dalla crisi di più e meglio del loro maggior rivale: la Cina. Il suo programma è centrato sui consumi, e sulla riduzione delle disuguaglianze aggravatesi a causa della pandemia, ma potrà avere effetti inflazionistici più del desiderato, e non sfiorerà alcuni aspetti strutturali dell’economia Usa. Il commento di Giuseppe Pennisi
Che effetti potrà avere sull’Europa il programma di 1.900 miliardi di dollari per rilanciare l’economia americana? È un tema importante ma di cui si parla poco nonostante le relazioni economiche e finanziarie transatlantiche siano strettamente interconnesse. È uno degli argomenti sollevati l’11 marzo ad un seminario dell’Arel a cui hanno partecipato, tra gli altri, il Premio Nobel Michael Spence, Enrico Letta, Andrea Boitani e Paolo Guerrieri. La stampa italiana, nelle corrispondenze da Washington e nei commenti ad esperti lo ha appena sfiorato, anche se per sue dimensioni ed i suoi contenuti potrebbe essere determinante per l’economia europea.
Andiamo, in primo luogo, ai contenuti. Il “Piano Biden”, come si è preso a chiamarlo, pone l’accento sulla domanda aggregata, operando, però, principalmente, ove non esclusivamente sui consumi, specialmente delle fasce di reddito medio-basse e basse. Questa caratteristica è importante perché dimostra come è orientato alla ripresa soprattutto nel breve periodo. Ciò ha aspetti non solo economici ma anche politici. Biden vuol dimostrare che con la sua guida gli Stati Uniti sono in grado di “correre fuori dalla crisi” più e meglio del loro maggior rivale: la Cina. Un programma centrato sui consumi, e sulla riduzione delle disuguaglianze aggravatesi a causa della pandemia, potrà avere effetti inflazionistici più del desiderato, e – come hanno rilevato l’ex Segretario al Tesoro (negli anni di Clinton) Larry Summers e l’ex capo economista del Fondo Monetario Olivier Blanchard – non sfiorerà alcuni aspetti strutturali dell’economia Usa. È anche un programma che stimolerà l’import da tutto il mondo, anche dall’Europa.
Allo stimolo dall’import, si aggiunge un aspetto importante: quello sui flussi d’informazione – materia di cui Spence è maestro e che gli è valso il Nobel nel 1971. Le informazioni sul “Piano Biden” che vengono dall’altra sponda dell’atlantico stanno trasmettendo ottimismo a individui, famiglie ed imprese in Europa. Si intravede una spinta dagli Usa suppletiva al Next Generation Eu ed alla politiche espansive appena confermate dalla Banca centrale europea (Bce).
Uno studio fresco di stampa di tre economisti italiani – Mario Di Serio, Matteo Fragetta e Giovanni Melina – pubblicato dal Fondo Monetario (IMF Working Paper No. 2021/039) contiene nuove stime dei moltiplicatori che inducono anche esse all’ottimismo.
È presto, però, per stappare bottiglie di champagne. L’impulso dagli Usa si avvertirà nella seconda parte del 2022 ma probabilmente si esaurirà nella seconda metà del 2023 proprio per la sua natura di essere basato sui consumi e di avere effetti, quindi, di breve periodo. Avrà implicazioni molto positive perché arriveranno prima di quelle del Next Generation Eu. Ma dureranno poco.
Occorre utilizzare quel lasso di tempo per avviare le riforme delineate nella Recovery and Resilience Facility, riforme dirette a sbloccare i nodi, principalmente istituzionali, che soprattutto in Italia non solo frenano lo sviluppo da anni ma ci fanno scivolare verso il declino.