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Il Pnrr dovrà ripristinare le strutture tecniche della Pa. Altrimenti…

Il governo italiano ha mandato l’11 marzo scorso alla Commissione europea un documento di 487 pagine, cioè le Schede a supporto del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma in Italia i punti deboli per realizzare i progetti sono le strutture tecnico-ingegneristiche che dovranno poi realizzare i progetti d’investimento. Il commento di Giuseppe Pennisi

Alzate l’architrave, carpentieri! Il titolo è quello del racconto di Jerome Salinger degli anni Sessanta, ma non vogliamo parlare dell’autore de Il Giovane Holden. Si vuole, invece, fare una prima riflessione su un tema più immediato, e più prosaico: le Schede a supporto del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) inviate l’11 marzo dal governo italiano alla Commissione europea, un documento di 487 pagine a stampa fitta, di cui i media non si sono interessati perché hanno ritenuto che fosse un documento riservato o – ipotesi più probabile – perché terrorizzati dalla mole, dalle tabelle, dai cronoprogrammi e simili.

È utile esaminarle “a puntate”. Ad una prima lettura, queste sono di una qualità nettamente superiore delle Schede inviate a Bruxelles il 29 dicembre 2020 dal governo Conte, specialmente per quanto riguarda la descrizione e specificazione delle riforme, di cui i progetti d’investimenti rappresentano il supporto.

Tuttavia, dopo trent’anni in cui la spesa in conto capitale delle amministrazioni pubbliche (soprattutto quelle dello Stato) è progressivamente diminuita, occorre chiedersi dove stanno coloro che progetteranno le architravi da fare alzare dai carpentieri per realizzare ponti, strade, scuole, ferrovie e quant’altro. Le strutture tecniche della Pubblica amministrazione – le vere e proprie eccellenze che sino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso – erano nei ministeri dei Trasporti, dei Lavori Pubblici, della Marina Mercantile (per non parlare che dei principali), nonché nei “servizi tecnici” della Presidenza del Consiglio – sono state via via depauperate e sono in gran misura sparite.

Il secondo governo Berlusconi creò una “struttura di missione” per l’attuazione della legge obiettivo; venne, praticamente, abolita al cambiare di colore del governo. Si deve dare atto al governo giallo-verde di avere istituito una “centrale di progettazione” per tentare di rimediare, almeno in parte, al problema. Dopo furiose liti tra dicasteri (e forze politiche) su dove ospitarla, finì in presidenza del Consiglio dove si collocano gli uffici o che nessuno vuole o che troppi desiderano. Là langue “Investitalia”, nome che Rocco Casalino riteneva attraente, con un coordinatore, tre dirigenti ed una decina di ingegneri ed architetti. Se ne sa molto poco, perché i sempre loquaci (sino a qualche settimana fa) comunicatori di Palazzo Chigi, fanno sapere poco e niente.

La mancanza di una seria progettazione tecnica è una grave lacuna perché impedisce la stesura di capitolati, di bandi di gare. In breve, ciò che è essenziale per far decollare progetti e di monitorarne l’attuazione. Provoca serie distorsioni programmatorie e decisionali perché – faute de mieux!– si includono come prioritari gli investimenti per i quali una progettazione tecnica esiste, anche se vecchia ma tale da richiedere pochi ritocchi. Si tiene conto, alla ben meglio, che in questi anni il concetto di progetto e di valutazione di progetto è cambiato: il progetto include sempre più componenti “immateriali” e la sua valutazione richiede sempre più l’accento sulla sostenibilità ambientale e sociale, secondo sei gruppi di criteri definiti nel 2019 dal G20 a presidenza giapponese. Ciò incide anche sulla stesura tecnico-ingegneristica dei progetti d’investimento.

Che fare? Utilizzare il Pnrr per dare alle pubbliche amministrazioni le strutture di progettazione e di valutazione necessarie. E farlo presto.


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