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La Germania sceglie la Difesa. Ecco i piani di spesa

Dopo Francia e Regno Unito, anche la Germania prevede un aumento del budget per la Difesa nel prossimo anno, fino a 49,3 miliardi di euro. Restano le incertezze politiche in vista del rinnovo del Bundestag tra pochi mesi. Intanto, Berlino cerca di consolidare il proprio ruolo in Europa, con un occhio agli Stati Uniti di Joe Biden

La Germania punta sulla Difesa. Pochi giorni fa, il governo di Angela Merkel ha approvato le linee-guida per il bilancio federale del prossimo anno e per le previsioni al 2025. Per la Difesa si è deciso un aumento di budget del 5%, passando da poco meno di 47 miliardi di quest’anno, a 49,3 miliardi per il 2022.

GLI IMPEGNI

Spetterà tuttavia al nuovo governo federale confermare o modificare il piano di spesa, dopo l’iter di formazione che seguirà il rinnovo del Bundestag a settembre. Intanto, però, il governo di Berlino conferma la volontà di rispettare gli impegni Nato, ovvero la tendenza al fatidico 2% del Pil da spendere in difesa. L’aumento del budget, ha notato la ministra Annegret Kramp-Karrenbauer, “è necessario per colmare le lacune nelle capacità esistenti causate da decenni di risparmi e, allo stesso tempo, per armarsi contro nuove minacce, come droni, armi ipersoniche o attacchi nel cyberspazio”.

LA PROSPETTIVA

La stessa ministra si è detta però insoddisfatta delle previsioni oltre il 2022. Fino al 2025, infatti, l’attuale quadro approvato dal governo prevede riduzioni del bilancio della Difesa. Tale approccio “non è sufficiente a garantire la necessaria modernizzazione del personale e degli equipaggiamenti della Bundeswehr”, spiega il dicastero. Riduzioni di bilancio, aggiunge, “non permetterebbero di sostenere le spese necessarie alla sicurezza che sono richieste dallo stato delle minacce”. Inoltre, il governo “non sarebbe in grado di adempiere agli impegni internazionali che ha assunto a più riprese”. La palla passerà comunque al prossimo esecutivo. I numeri in questione potranno essere modificati nei prossimi mesi nel corso delle interlocuzioni con il ministero delle Finanze, ma non approderanno in Parlamento. Lo faranno solo dopo che il prossimo governo si sarà insediato, con approvazione definitiva nella prima metà del 2022.

CONFERME IN VISTA

Nel frattempo, il dicastero guidato da Akk cerca di segnare la via per proseguire il percorso di modernizzazione. È recentissima l’approvazione al Bundestag del programma per dotare le Forze armate di nuove tende da dispiegare negli impegni fuori aerea (se ne prevedono 19mile in sette anni), con obiettivo specifico per la forza di reazione rapida della Nato. È altrettanto recente la proroga parlamentare (fino a gennaio 2022) per la partecipazione alla missione Resolute Support in Afghanistan, che vede la Germania quale secondo Paese contributore dopo gli Usa (subito prima dell’Italia). Simile proroga dovrebbe arrivare a breve proroga anche per le missioni europee Irini e Atalanta, rispettivamente dedicate al controllo dell’embargo di armi sulla Libia e al contrasto alla pirateria nelle acque del Golfo di Aden. Tutto ciò conferma la tendenza tedesca degli ultimi anni, volta ad aumentare gli impegni nelle missioni internazionali e ad accresce la dose di “hard power” a sostegno della proiezione internazionale.

LE ESIGENZE DI BERLINO

Tale volontà non è sempre stata corrisposta da adeguata attenzione al fattore “capability”. È piuttosto storica in Germania l’insoddisfazione dei vertici militari per il sotto-finanziamento delle Forze armate, con lacune operative a tratti particolarmente rilevanti (emblematico anni fa l’utilizzo di manici di scopa dipinti di nero a al posto di mitragliatrici pesanti durante un’esercitazione Nato). Ursula von der Leyen prima, e Akk dopo, hanno cercato di invertire il trend, lavorando per l’aumento dei budget, consolidando il ruolo tedesco nei grandi programmi europei (dall’EuroMale al velivolo di sesta generazione), e spingendo per il rinnovamento militare. A novembre il Bundestag ha dato il via libera ad acquisti per quasi 3 miliardi di euro (per lo più per 31 elicotteri multi-ruolo Sea Tiger, basati sull’NH90). Poco prima era arrivato l’ordine per 38 Eurofighter pari a oltre 5 miliardi di euro.

TRA FRANCIA E USA

Certo, restano da risolvere alcune questioni strategiche. La prima riguarda i rapporti con la Francia, considerando che l’asse a due rilanciato ad Aquisgrana nel 2018 ha vissuto ultimamente diverse turbolenze, destinate forse ad attenuarsi in vista dell’atteso accordo industriale sullo sviluppo del programma Fcas. C’è poi il rapporto con gli Stati Uniti di Joe Biden. Negli ultimi anni alcune scelte di Berlino nel campo della Difesa si sono guadagnate le perplessità di Washington. Dall’esclusione degli F-35 dalla gara per sostituire i Tornado, fino al più recente annullamento della competizione STH gli elicotteri pesanti, a cui erano pervenute le proposte di Boeing e Lockheed, giudicate però anti-economiche. Su entrambe le scelte era sembrato pesare in modo rilevante lo stato (critico) dei rapporti con Donald Trump. Ora la musica è diversa.



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