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Phisikk du role – Il male non è il Gruppo misto. È la fine del partito

Il problema non è punire, ridimensionare o cancellare, come pare si intenda, il Gruppo misto e i suoi aderenti, semmai è ricostruire partiti su basi democratiche e non leaderistiche e fare leggi elettorali che rimettano la scelta in mano ai cittadini togliendola ai piccoli cesari che fanno le liste. La rubrica di Pino Pisicchio

Tira un’aria strana nella politica nazionale, inabilitata dallo stallo del Covid o portatrice di inabilitazione perpetua, coperta questa volta dal generoso alibi pandemico. In un inusitato happening unitario-nazionale, andando alla ricerca di argomenti coesivi, capita, infatti, che qualche leader si imbatta nel mal comune della frantumazione della forma-partito e pensi di risolverla astutamente. Così si celebra una storica convergenza tra Pd e Fratelli d’Italia per l’abolizione, o giù di lì, del Gruppo misto in Parlamento, come rimedio allo zero appeal dei partiti al cospetto dei propri parlamentari. L’intesa è di far girare la voce per incontrare nuove adesioni al compimento dell’impresa. Intanto la cosa viene lanciata con ammiccamenti sornioni ad un popolo che si presume esultante per la possibile rimozione dell’orrore istituzionale rappresentato dall’adesione al gruppo misto.

Con tutto il rispetto non mi pare proprio il caso. E per qualche ragione che provo succintamente a riassumere. 1) Il Gruppo misto non è creato dal capriccio dei transumanti ma è figlio dei regolamenti parlamentari che fanno confluire in questo spazio istituzionale i deputati e i senatori che non appartengono ad altri gruppi o che non raggiungono la numerosità prevista per fare gruppo. Si tratta, dunque, di un qualcosa che somiglia abbastanza ad un organo del Parlamento, perché, a differenza di tutti gli altri gruppi, è necessario e permanente e non si forma per ragioni ideologiche bensì tecniche. Infatti, mentre le liste politiche sono accomunate da un idem sentire e i gruppi che ad esse corrispondono implicano un’adesione esplicita da parte degli eletti (art. 14 dei regolamenti di Cam. e Sen.), nel Gruppo misto, invece, si entra anche se non viene fatta nessuna dichiarazione di adesione. 2) Si tratta, dunque, di un organo che trova tutela nell’art. 67 della Costituzione (divieto di mandato imperativo), consentendo ai parlamentari che ne fanno parte di svolgere il loro mandato senza subire menomazioni, ma potendo far conto dei medesimi strumenti e delle medesime prerogative offerte agli iscritti degli altri gruppi “politici”: strumenti e risorse rappresentate essenzialmente da servizi in dotazione al gruppo, avendo riguardo alla sua consistenza. 3) Storicamente il Gruppo misto ha avuto due stagioni nettamente distinte: una nella Prima Repubblica e un’altra a partire dalla XII legislatura ad oggi. Nella cosiddetta Prima Repubblica il gruppo misto rappresentava il gruppo delle minoranze linguistiche, delle autonomie e degli indipendenti ospitati in altre liste – si ricordano autorevoli presenze di questo tipo come Altiero Spinelli – con qualche sporadicissima adesione di singoli in uscita dai gruppi politici.

La consistenza media alla Camera si attestava tra i 12 e i 15 membri. Ma, attenzione: per tutta la Prima Repubblica il fenomeno della transumanza da un gruppo all’altro fu ignoto. Salvo che per le scissioni generate da fratture ideologiche (il Manifesto in uscita dal Pci o Democrazia Nazionale che divise in Parlamento il Msi, negli anni ‘70), nessun deputato o senatore abbandonava mai la nave che l’aveva portato in Parlamento, né quella nave si lasciava abbandonare. Perché? Lasciando da parte questioni di stile e di tenuta della “forma-partito”, bisogna considerare che il sistema elettorale con voto di preferenza consolidava il peso dell’eletto nelle dinamiche interne di partito: il parlamentare “valeva” le migliaia di voti che l’avevano portato nelle assemblee legislative, e, d’altro canto quei voti gli venivano dati in quanto candidato di quel partito. Dunque preferenze personali che il partito non voleva perdere, attribuite, però, in quanto esponente di quella parte politica e non un’altra. Nella Seconda Repubblica si è rotto il vaso di Pandora: mano mano che le leggi elettorali hanno sottratto ai cittadini il diritto di scegliersi i candidati da eleggere, ecco che i gruppi misti si sono ingrossati con esodi biblici dai gruppi politici. Le ragioni sono molteplici e non sono tutte vili: l’assenza di democrazia nei partiti e la ventata cesarista che li ha travolti, rappresentano quelle nobili.

Insomma: il problema non è punire, ridimensionare o cancellare, come pare si intenda, il Gruppo Misto e i suoi aderenti, semmai è ricostruire partiti su basi democratiche e non leaderistiche e fare leggi elettorali che rimettano la scelta in mano ai cittadini togliendola ai piccoli cesari che fanno le liste. Tutto qui (si fa per dire…).


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