Impazzano sul web i video del potenziamento militare russo al confine con il Donbass. Truppe aviotrasportate dal nord, sistemi di difesa aerea dal sud e carri corazzati. Tutti in stato di “massima allerta”. Ma Mosca si prepara davvero a un’invasione? Vuole ripetere il “modello Georgia”, avere una scusa per inviare peace-keeper o arrivare al controllo di Mariupol?
Cresce di ora in ora il timore della scintilla che faccia scoppiare una nuova escalation in Ucraina. Le manovre russe al confine dei territori occupati del Donbass e la militarizzazione della Crimea alimentano il timore di un nuovo attacco da parte delle forze di Mosca. Gli esperti comunque convergono: difficilmente tutto ciò si tradurrà in un conflitto su larga scala; non converrebbe a Kiev, né a Mosca, né agli Stati Uniti di Joe Biden, per cui il rischio di escalation rappresenta un delicato test. Intanto l’Ucraina guarda alla Nato, alla ricerca di un supporto che non sempre pare garantito.
Eppure i segnali di tensione si susseguono: la Russia avrebbe messo in stato di massima allerta “per esercitazione” tutte le forze armate, mentre intorno alla colonia penale in cui si trova Aleksej Navalnyj la polizia ha arrestato otto persone nell’ambito delle manifestazioni che chiedevano medici esterni alla struttura carceraria. Tra i fermati ci sono la presidente dell’organizzazione Alleanza dei medici, Anastasia Vasiljeva, e un giornalista della Cnn.
LE FORZE IN ARRIVO
Anche sul fronte militare, i video rilanciati sui social (non tutti verificati) non sono rassicuranti. Dall’oblast di Pskov, al confine con l’Estonia, è stato ripreso un treno diretto verso sud, con a bordo gli assetti della 76esima divisione delle truppe aviolanciate, una delle più celebri divisioni delle forze russe, capace di proiettare rapidamente in scenari complessi veicoli armati. Da sud, dal Caucaso, si sarebbe invece mosso il convoglio con il sistemi di difesa aerea S-400, tra le punte di diamante delle capacità russe per creare zone A2AD (sigla che sta ad indicare Anti-Access-Area-Denial), volte ad annullare la proiezione di strumenti militari da parte di attori esterni. Altri video mostrano convogli con obici e semoventi, come i 2S19 Msta-S, ma anche carri da fanteria BMP-2, carri armati T-72 e lanciarazzi pesanti “Uragan” (BM-27).
Moving of S-400 missile systems was reportedly filmed in #Voronezh region, south #Russia.
Those who do not know geography, Voronezh region borders on Luhansk region of #Ukraine.
Soundtrack to the video is peculiar: “Let’s not have a war”.pic.twitter.com/7NEp9VPakt
— Alex Kokcharov (@AlexKokcharov) April 3, 2021
LE MANOVRE RUSSE
Secondo il comandante dell’Esercito ucraino Ruslan Khomchak, la Russia avrebbe dispiegato 28 battaglioni tattici tra il confine con l’Ucraina e la Crimea, per un totale di circa 20mila unità. Andrebbero aggiunte le tremila unità, tra istruttori e consulenti, dispiegate all’interno dei territori del Donbass in supporto alle forze separatiste. Mosca ha minimizzato, negando ogni intento offensivo e (come di consueto) ogni coinvolgimento diretto nella regione del Lugansk-Donetsk, accusando invece le forze di Kiev di cercare un pretesto per ottenere maggior appoggio occidentale. Nella retorica del Cremlino, i russi presenti nel Donbass sarebbero “volontari”, intervenuti a difesa di altri “russi” che abitano quei territori. A tutto questo si aggiungono le manovre esercitative, come quelle condotte con la Bielorussia nelle ultime settimane. Culmineranno a settembre con la massiccia Zapad-2021, da inserire in un’alternanza di esercitazioni che consente alla Russia una presenza militare pressoché continua sul territorio di Minsk.
LE ARMI SUL FRONTE
La situazione al confine resta incandescente. L’ultimo bollettino della missione Osce che verifica il rispetto degli accordi di Minsk è riferito al solo 2 aprile, e riporta 594 violazioni del cessate-il-fuoco nel Donetsk e 427 nella regione di Luhansk region. I numeri delle ultime settimane sono incredibilmente alti, soprattutto rispetto alla media del 2020, che aveva fatto registrare un calo drastico delle violazioni rispetto all’anno precedente. Nel Donetsk, la maggior parte delle violazioni si concentra a nord del capoluogo, lungo la linea di confine tra la regione di Avdiivka (controllata da Kiev) e i territori separatisti. Nel Luhansk, le violazioni si concentrano intorno all’area di Zolote, a 60 chilometri a ovest del capoluogo della provincia separatista. Pochi chilometri sud di Luhansk, nella zona di Peremozhne, gli osservatori dell’Osce hanno riscontrato il primo aprile sei sistemi di lancio multipli di razzi e 29 obici nei territori separatisti. Distanti dal fronte, ma fuori dai siti di stoccaggio designati, sono stati ripresi su tutta la regione separatista 24 carri armati, quattro sistemi missilistici terra-aria e un mortaio.
LA POSIZIONE NATO
Tutto questo ha fatto scattare ormai da giorni la preoccupazione occidentale, con una serie di contatti incrociati tra Washington, Bruxelles e Kiev. Oggi è stata la volta di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, a colloquio con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. Come l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell, anche Stoltenberg ha ribadito “il supporto fermo” all’integrità territoriale e alla sovranità di Kiev. A lui, Zelenskyj ha presentato la nuova Strategia di difesa nazionale dell’Ucraina, per la gran parte rivolta all’obiettivo di adesione alla Nato. La Russia si è già dichiarata contraria a più riprese, manifestando tutto il disappunto per ciò che avverte come un ulteriore avvicinamento dell’Alleanza Atlantica ai propri confini.
MODELLO GEORGIANO?
Difficile che le manovre in atto si traducano comunque in un’invasione su larga scala, almeno a leggere i commenti di molteplici esperti. Per l’Atlantic Council, il professor Taras Kuzio della National University of Kyiv Mohyla Academy ha definito “improbabile” tale scenario, poiché “porterebbe a una lunga guerra e alla completa rottura delle relazioni della Russia con l’Occidente”. Più probabile secondo l’esperto che si ripresa “la trappola” usata da Vladimir Putin per la Georgia nel 2008, “quando le provocazioni dall’Ossezia del sud portarono all’intervento georgiano nella regione separatista; ciò offrì a Mosca la scusa di intervenire ‘a difesa dei suoi cittadini’”.
GLI OBIETTIVI DI MOSCA
Anche per John Herbst, direttore dell’Eurasia Center dell’Atlantic Council, è difficile immaginare che la Russia si muova per un conflitto su larga scala, e anche che lo faccia per ottenere un collegamento via terra alla Crimea. “Lo scopo – spiega l’esperto – potrebbe essere quello di impadronirsi di Mariupol”, che si affaccia sul Mar Nero in territorio ucraino, a circa 50 chilometri dal confine con il territorio separatista del Donetsk. Un’altra ragione, aggiunge Herbst, potrebbe essere il tentativo di creare il contesto utile per mandare nel Donbass i peace-keeper russi, dando finalmente legittimazione (quantomeno apparente) alla presenza nell’area. Come notato su queste colonne da Nona Mikhelidze dello Iai, per Mosca si ripeterebbe “lo scenario del Nagorno-Karabakh, e dunque lo schieramento di peace-keeper sulla linea di contatto della regione secessionista”. C’è poi la possibilità che la Russia cerchi il controllo delle infrastrutture legate al fiume Dnepr, per portare acqua in Crimea, considerando che il governo di Kiev ha da tempo tagliato le forniture. Infine, spiega Herbst, ci potrebbe essere anche il solo obiettivo di “forzare le concessioni del presidente Zelenskyj e testare il presidente Usa Joe Biden”.
VERSO IL CONFLITTO?
Concorda dalle colonne di Defense One il generale Ben Hodges, già comandante dello US Army in Europa. Più che la preparazione di un’invasione, le manovre russe “sembrano essere più una dimostrazione e un test dell’amministrazione Biden, forse tese a capire cosa intenda esattamente dice che la sovranità ucraina è una priorità degli Stati Uniti”. Secondo Maxim Samorukov di Carnegie, anche l’Ucraina non avrebbe particolare interesse a condurre l’escalation su livelli troppo alti: “Dal punto di vista di Kiev, un’offensiva nel Donbass darebbe probabilmente alla Russia un pretesto per intervenire nella regione”. Inoltre, rimarca l’esperto, “le perdite che ne deriverebbero rovinerebbero il già limitato sostegno pubblico a Zelenskyj, mentre la pronta assistenza per l’Ucraina dall’Occidente non è affatto garantita”.