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Papa Francesco a Lampedusa: appunti

 

Sì, appunti. Non solo perché questo è un blog e dunque risente inevitabilmente dei limiti, non pochi, del blogger, cioè lo scrivente, ma anche perché occorre riflettere e annotare quanto di saliente è emerso nel corso della visita del Papa a Lampedusa: appunti…appunto.

Intanto, facciamo una bella moratoria su questo nuovo e imbarazzante costume di dare del tu al Papa: “Francesco è andato a Lampedusa”; e poi via con quel tu: ma chi è tuo cugino? – mi vien fatto di domandare. In un mondo in cui non ci sono più padri, perché non si crede più nel Padre, come spiega magistralmente Risé, dunque non ci sono più veri figli, se perdiamo anche il Papa, cioè il Padre storico universale, possiamo anche svendere i gioielli di famiglia a Porta Portese.

Quando don Orione diceva: “La nostra fede è il Papa”, spingeva sull’acceleratore di una coscienza cattolica che, oggi, può apparire anacronistica, tuttavia coglieva plasticamente l’essenza della questione: se non c’è l’autorevolezza del Papato, anche sul piano formale, l’equivoco, perfino dogmatico, è dietro l’angolo. L’equivoco coinvolgente la fede: Baget Bozzo lo spiegò lucidamente in un saggio della fine degli anni ’90, “Il futuro del Cattolicesimo”.

Il Papa a Pantelleria. Non ci sono autorità, salvo il sindaco: perché? La dimensione pubblica del cattolicesimo e della fede, da sempre interpretata alla grande da Papa Bergoglio, nelle vesti di gran pastore gesuita, c’è sempre, e da Vescovo chissà quante volte avrà incontrato e invitato autorità, spesso indifferenti alle sorti dei poveri, ad eventi riguardanti la povertà in presa diretta: Gesù frequentava i peggiori e lo faceva perché, da essi, si coglie lo stridore dello scandalo, e insieme la soglia del nostro limite. Siamo tutti indifferenti. Tutti.

La tragedia dell’estraneità è dentro di noi e non ha radici sociali, non c’entra – mi perdoni il Santo Padre – l’opulenza della società del benessere (di cui dirò tra breve), ma c’entra il peccato originale.

E il Papa lo dice a chiare lettere: infatti cita la Genesi, lo scandalo di Caino che ammazza il fratello Abele, dovendo affrontare la domanda radicale di Dio: “Caino, dov’è tuo fratello?”.

Aggiungo che l’altra domanda di Caino – strategia diabolica: egli risponde con una domanda alla domanda – è: “Sono forse custode di mio fratello?”. La risposta umana e cristiana è una sola: sì, sei custode di tuo fratello.

Ma…ecco il punto del possibile equivoco: chi è davvero mio fratello?

Si dirà: tutti. Sì, ma intanto tutti è più grande dalla macrocategoria degli immigrati, dei migranti. Tutti è categoria estensiva universale. Questa non è solo logica, ma Vangelo e Dottori della Chiesa: perché San Paolo afferma che si debba prestare attenzione prima di tutto al fratello che ci vive accanto? E perché sant’Agostino ripete, pari pari, questo messaggio? Semplice: perché, nell’esperienza cristiana, non vige l’universalità astratta, molto ideologica, del “tutti” per non dire “lui/lei”. E’ il singolo, nel cristianesimo, a gridare la sua verità, il suo desiderio di bene e riconoscimento: ergo, non ci sono i migranti, ma casomai quel migrante che conosco; e non posso schiacciare tutto e l’intera società attuale sul luogo comune dell’indifferenza, perché – ultimo punto – qui chi è povero, oggi, è il colletto bianco cinquantenne che ha perso il lavoro e molto probabilmente non ne troverà un altro. L’immigrato gioca la sua carta e può morire; il colletto bianco è già morto. Socialmente e talvolta non solo. Perché o si spara o si impicca. Come molti imprenditori. E’ duro quanto sto scrivendo, ma è così e chi non è ipocrita lo sa.

I sepolcri imbiancati possono anche ripetersi ad ogni piè sospinto che la globalizzazione sia il diavolo, salvo poi benedirla magari quando un idolo ideologico, magari lontano dalla Chiesa (Obama?), ne tesse le lodi, e sparando, per contro, addosso al nemico (Putin?), che se ne fa critico, ma in suo nome: operazioni ideologiche, e questo il Papa lo sa perfettamente. La fede muore sempre per mano delle ideologie.

Papa Francesco ha il cuore grande del pastore h/24 e il cuore non è l’antitesi della ragione, questa è la favoletta calvinista e luterana; nel cattolicesimo il cuore è l’unità di affezione e ragione, dunque la partita si gioca attraverso l’unità della persona. E la persona che vive oggi consapevolmente sa che le mense della Caritas sono affollate – ultimi dati Istat – da maree di 40/50enni in crisi di identità, senza un soldo, spesso con figli a carico: ecco il mondo dei sommersi e dei salvati.

Sommersi non dai flutti del rischio sulle barche dei mafiosi che sfruttano il codice della speranza dei migranti, no, sommersi brutalmente dentro la cornice ancora tutto sommato composta di chi ha e, per tirare avanti, fa il rentier egoista, e di chi non ha e non sa dove sbattere il capo. Stop.

Non è questione né di globalizzazione, né di capitalismo; so bene che il cristianesimo non è faccenda etnico-culturale, del resto Gesù stesso era migrante, per dirla alla maniera postmoderna; ma – piccolo particolare – Gesù era anche l’uomo della concretezza storica, del giudizio di verità sulla vita e della durezza, se occorre, contro chi spaccia il crack dell’ideologismo, magari curiale.

Ma – ripeto – tutto questo il Papa lo sa.

Per questo, a un vecchio cattolico proveniente da mondi lontani, come lo scrivente, e dunque non adùso alle schermaglie ideologiche del pauperista di professione – che non ha mai letto un rigo del più grande apologeta, sebbene incancrenito nell’errore, della globalizzazione, cioè Karl Marx, e invece ha a disposizione la protezione del vettovagliamento intra moenia – l’intera vicenda dell’immigrazione e delle morti in mare dei migranti desta l’orrore sano di chi conosce il proprio cuore, segnato dalle conseguenze del peccato originale, ma non desta un particolare timbro di indignazione morale se non moralistica, perché poi, vivendo in periferia, a Roma, mi giro, uscendo dalla chiesa parrocchiale che frequento, e vedo il vecchio ancora dignitoso che apre il cassonetto della monnezza per ricavare l’altra metà del pasto e fare la giornata. Non ho bisogno di veder morire in mare i migranti: conosco il migrante che è in me. Mi basta.

Raffaele Iannuzzi

 


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