Il governo potrebbe rendere il Paese più competitivo e più produttivo nel solco di una direttiva europea ignorata per oltre quindici anni, ovvero la direttiva Bolkestein, recepita nell’ordinamento italiano nel 2010, ma per le concessioni balneari e per il commercio ambulante neutralizzata da una serie di leggine particolaristiche. Il commento di Giuseppe Pennisi
Su questa testata, è stato più volte sottolineato che il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), in questi giorni in fase di finalizzazione, è un programma di riforme supportate da programma e progetti d’investimenti. Il dibattito pare concentrarsi più sugli investimenti e sulla loro governance che sulle riforme che dovrebbero, invece, essere il cuore stesso del Pnrr. Il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, ha illustrato in vari seminari le sue proposte. Non così altri ministri, ad esempio, quello della Giustizia, campo in cui è necessario intervenire come ci viene ripetuto da anni dall’Unione europea (Ue) e da altre istituzioni internazionali. Probabilmente, in questo ed altri comparti, le misure sono ancora in fase di affinamento.
Tuttavia, per mostrare che le riforme “ci sono” il governo potrebbe “battere un colpo” soprattutto nel settore chiave della concorrenza: un decreto che superi gli ostacoli anche legislativi posti in questi quindici anni all’applicazione della direttiva Bolkestein (dal nome del Commissario europeo preposto, all’epoca, alla materia) del 2006, recepita nell’ordinamento italiano nel 2010, ma per le concessioni balneari e per il commercio ambulante neutralizzata da una serie di leggine particolaristiche. L’obiettivo della direttiva è favorire la libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i vari Paesi dell’Ue: prevede, quindi, che le concessioni avvengano dietro gara europea ed abbiano una durata triennale (anche al fine di dare a tutti gli imprenditori l’opportunità di ottenerle e di promuovere un miglioramento della qualità dell’offerta).
In materia di spiagge, con la legge 17 luglio 2020, n. 77 – si dice fortemente voluta dal Movimento Cinque Stelle (M5S) o da alcuni suoi comparti – le concessioni balneari, che sarebbero dovute andare a gara nel 2013, sono state estese sino al 1° gennaio 2034. In aggiunta, è stata anche sancita l’impossibilità per le amministrazioni comunali di intraprendere o proseguire procedure di scelta dei nuovi concessionari. Di recente il Consiglio di Stato ha affermato “l’invalidità di norme nazionali che prevedano proroghe automatiche in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati” dato che il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente determina un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, ostacolo ingiustificabile alla luce dei principi di derivazione europea applicabili in materia di concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative. La spiaggia, bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.), presenta i caratteri della limitatezza nel numero e nell’estensione e di possibilità di sfruttamento economico. Questo giustifica il ricorso a procedure “di gara” per l’assegnazione delle concessioni. Le spiagge – sottolinea la sentenza – appartengono a 60 milioni di italiani, non deve essere una rendita perpetua per 3000 concessionari, le cui tariffe sono tali da garantire un anno di reddito con tre-quattro mesi di attività.
Analogo, anche se più complicato normativamente, il nodo del commercio ambulante; le concessioni in essere sono state prorogate di anno in anno da una serie di decreti per l’appunto chiamati “mille proroghe”. Nella materia hanno un ruolo determinante i Comuni, alcuni dei quali (ad esempio, Roma Capitale) intendono appena possibile applicare la direttiva Bolkestein. Ad oggi, gli esercenti chiedono che il governo intervenga direttamente per escludere completamente la categoria dall’obbligo di messa al bando delle concessioni pubbliche che sta alla base della direttiva. Non un rinvio, ma un’esclusione totale della categoria dal perimetro di applicazione della Bolkestein. Qui è questione non solo di trasparenza e di concorrenza (quindi, competitività e produttività) ma anche di decoro urbano. Per quale ragioni, avere i marciapiedi di grandi vie commerciali dei centri storici impraticabili, mentre il commercio ambulante potrebbe essere indirizzato in mercati (sia all’aperto sia “storici” ormai semi-vuoti o del tutto abbandonati)? Curiosamente, sembra che il Partito democratico (Pd), o almeno, suoi esponenti di rango, siano contro l’applicazione della direttiva per il commercio ambulante.
Sembrano questioni piccole, quasi di lana caprina. Ma sarebbero un segnale forte: mostrerebbero che il governo intende fare un passo serio verso un’Italia più competitiva e più produttiva nel solco di una direttiva europea ignorata per oltre quindici anni.