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Ci sarà mai una vera alleanza tra Big Tech e ricerca accademica?

Sarà mai possibile una vera collaborazione tra università e Silicon Valley, che permetta di studiare gli effetti di rete, il multi-sidedness con alcuni servizi ‘gratuiti,’ l’importanza dei dati per il modello di business, la economie di scala e di scopo? Se lo chiede il professor Valletti

Il professor Tommaso Valletti, professore di economia all’Imperial College di Londra, il primo d’aprile ha pubblicato uno scherzo su Twitter in cui annunciava di aver accettato una posizione congiunta come capo globale dell’impegno accademico e della ricerca per il bene comune – presso Google e Facebook.

Riportando la notizia, ci siamo chiesti: e se questa posizione esistesse davvero? Su ProMarket, il professor Valletti spiega che in realtà sì, questa posizione ancora non c’è – e probabilmente non verrà mai creata. Se esistesse, sarebbe una posizione legata al mondo dell’accademia, che aiuterebbe la ricerca scientifica ed economica. Ma, secondo l’esperienza di Valletti, nessuna grande azienda della Silicon Valley ha mai portato avanti un tale impegno.

Come sottolinea il professore, grazie alle Big Tech “abbiamo capito alcuni aspetti teorici: gli effetti di rete, il multi-sidedness con alcuni servizi ‘gratuiti,’ l’importanza dei dati per il modello di business, la economie di scala e di scopo, e così via.” Ma manca comunque un fattore importante, fondamentale per la ricerca: la quantificazione. Gli studi, ad esempio, non sono in grado di quantificare gli effetti di rete e neanche capire quanto siano effettivamente pratici questi risultati perché mancano i dati. Ci sono però, continua Valletti, alcune Big Tech che hanno uffici pieni di ricercatori, ma nessun studio vede mai la luce del sole – anche perché sono quasi tutti rivolti all’ottimizzazione della società.

Alcune organizzazioni hanno reso pubblici i loro dati, ma si pone un secondo problema: perché l’hanno fatto? Valletti sottolinea che bisogna stare attenti anche in questi casi perché, il più delle volte, le società pubblicano i propri dati (positivi) per migliorare la loro immagine. Dunque, e qui Valletti cita Luigi Zingales , vengono “usati” gli accademici come uno strumento di promozione.

Esiste una soluzione? Le big tech consegneranno mai i loro dati per scopi di ricerca? “Le autorità possono obbligare il rilascio dei dati quando le aziende raggiungono alti livelli di potere di mercato. Possiamo studiare gli aeroporti e le compagnie aeree perché la Federal Aviation Authority ha reso i dati aperti a tutti” scrive Valletti. Quindi, l’unica soluzione sarebbe una coercizione da parte delle autorità che potrebbe rendere la ricerca più accurata e pragmatica, anche se sarebbe difficile evitare una strumentalizzazione di aziende rivali. La speranza del professore è che il ruolo “inventato” per un pesce d’aprile prima o poi esisterà veramente e che tra il mondo accademico e quello delle Big Tech si raggiunga una maggior cooperazione – utile a tutte le parti.



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