Il Cesifo di Monaco di Baviera – uno dei maggiori centri di ricerca internazionale – ha effettuato un confronto analitico per esaminare la risposta alla pandemia da parte di Italia e di Spagna nella prima ondata, l’unica, per ora, per la quale si hanno dati completi sulle misure adottate dai due Paesi e sugli esiti in termini di contagi, ospedalizzazione, terapie intensive e decessi
La lotta al Covid-19 si deve combattere a differenti livelli perché la pandemia, iniziata in Cina (l’Organizzazione Mondiale della Sanità- Oms- è stata molto reticente sulle sue determinanti a Wuhan e dintorni) ha messo seriamente a rischio un “bene pubblico mondiale” come la salute. È necessario un livello internazionale, ma purtroppo pochi hanno fiducia nell’Oms sia perché dominata da Pechino sia per ragioni specifiche oggetto di un’indagine giudiziaria in corso. È necessario un livello europeo: non solo, la sanità non è materia di politica comune europea e l’acquisto in comune dei vaccini ha lasciato luci ed ombre. È necessario un livello dei singoli Stati, i cui sistemi sanitari differiscono, nell’Unione europea (Ue) in misura significativa in termini di devoluzione dall’amministrazione centrale ad altri livelli di governo.
In Italia, come è noto, la sanità è essenzialmente settore di competenza regionale, anche se sentenze recenti della Corte Costituzionale, affermano che in caso di “infezioni internazionali” scatta la “clausola di supremazia statale”. Sino ad ora, il governo non ha fatto ricorso a tale clausola ed ha contato sulla “leale collaborazione” tra Stato e Regioni, pure nel periodo del governo giallorosso, nonostante, come ha ricordato una recente “mappa del potere” pubblicata dalla Fondazione Open Polis, quindici su ventuno presidenti delle giunte regionali siano espressione dei partiti di centrodestra.
C’è un altro Stato dell’Ue in cui le competenze di sanità sono divise tra Stato e Regioni: la Spagna. Il CESifo di Monaco di Baviera – uno dei maggiori centri di ricerca internazionale – ha effettuato un confronto analitico per esaminare la risposta alla pandemia da parte di Italia e di Spagna nella prima ondata, l’unica, per ora, per la quale si hanno dati completi sulle misure adottate dai due Paesi e sugli esiti in termini di contagi, ospedalizzazione, terapie intensive e decessi.
Lo studio Divided We Survive? Multi-Level Governance and Policy Uncertainty during the First Wave of Covid-19 non è stato ancora pubblicato ma circola come preprint tra studiosi che hanno collaborato con il CESifo che, in alcuni casi, sono stati autorizzati a divulgarne i contenuti. Gli autori sono italiani e britannici. I “revisori” tedeschi e spagnoli. È lavoro di grande attualità in un momento, come l’attuale, in cui nel nostro Paese, governo e Regioni hanno punti di vista differenti su come modulare la lotta a questa seconda fase della pandemia.
Lo studio si basa su una ricca bibliografia internazionale e su un complesso impianto statistico. Sia Italia sia Spagna sono state colpite seriamente dal Covid-19. Nel maggio del 2020 quando la prima ondata è parsa esaurirsi e sono iniziate le “riaperture”, in Italia c’erano 230.000 contagi ed in Spagna 240.000, i decessi erano 33.000 in Italia e 29.000 in Spagna. I due Paesi hanno tenuto linee politiche differenti nel rapporto tra Stato e Regioni: a Madrid sono stati centralizzati gli acquisti di materiale medico (dalle mascherine ai ventilatori), a Roma, invece, compiti e funzioni sono rimasti suddivisi tra Stato e Regioni. Una forte azione a livello centrale – sottolinea lo studio – “amplifica gli effetti di programmi, progetti e misure in caso sia di successo sia di fallimento”.
In Italia, la prima ondata è esplosa al Nord, simultaneamente in Veneto e Lombardia, dove le risposte sono state differenti perché le sanità regionali hanno avuto differenti evoluzioni: la prima molto basata su una rete di medicina sul territorio e l’altra imperniata su grandi ospedali (molti dei quali di fama mondiale). La sanità del Veneto, dove nella prima ondata i contagi sono stati 20.000 rispetto agli 80.000 in Lombardia, è stata secondo lo studio più duttile e più efficace di quella più centralizzata lombarda: viene presentata un’interessante analisi statistica.
In Spagna, la prima ondata è esplosa nella Regione di Madrid ed ha poi colpito la Catalogna, la Regione Basca, le due Regioni in cui è suddivisa la Castiglia, la Navarra e l’Andalusia. Il governo di Madrid era di sinistra, mentre quelli delle Regioni di vari colori politici, con a Barcellona un governo fortemente autonomista. Nella prima ondata, il governo di Madrid ha dichiarato “lo stato d’emergenza” e centralizzato politica e gestione della sanità. Gli esiti non sono stati buoni tanto che all’arrivo della seconda e terza ondata, poteri e funzioni sono state ridate alle Regioni.
Lo studio fa anche riferimento al “modello tedesco” e conclude che “un sistema basato su autonomia regionale può essere molto efficace nel combattere una pandemia anche perché fa emergere le buone pratiche” tra le varie Regioni.
Auspico che il lavoro venga letto e studiato sia ai piani alti del ministero della Salute sia a Palazzo Chigi e alla Conferenza Stato Regioni.