La scommessa è sulla capacità di operare una presa di coscienza della sua base sociale e di assumere una direzione di marcia capace di disegnare orizzonti chiari, emancipando se stessi e il proprio elettorato. Verso una forma-partito? Certo, ma anche verso un’identità precisa. Che non potrà essere il doppione del Pd. La rubrica di Pino Pisicchio
Premessa: in queste brevi note non si tratterà dell’ovvio, tipo “l’avevamo detto che il grillismo era una bolla e che prima o poi si sarebbe sgonfiata” o “è il ciclo inevitabile del populismo che, una volta al potere, perde la sua spinta propulsiva”. No: troppo facile e sentito, negli ultimi mesi soprattutto (perché prima era tutto un peana di media e popolo sparso). Cerchiamo di andare un po’ più avanti e di guardare a questo fenomeno, sicuramente declinante, ma ancora in pieno svolgimento perché con gli attuali 238 parlamentari iscritti ancora ai gruppi di Camera e Senato il M5S è inevitabilmente un soggetto politico protagonista in Parlamento e nel governo (dov’è presente con quattro ministri).
Propongo un approccio più articolato. Un fenomeno di massa che è capace di raccogliere 10,7 milioni di voti di italiani nel 2018, è qualcosa che arriva negli strati più penetrabili del sentiment popolare, ed è paragonabile alla raccolta di consensi che solo la Dc e il Pci hanno saputo capitalizzare nella Prima Repubblica e Berlusconi nella seconda (2001: 10,9 milioni di voti). Con diversa modalità, storia e penetrazione sociale, certo, misurata dalla distanza che corre tra una forma partito capillare e ideologicamente caratterizzata (Dc e Pci) e una imponente macchina della persuasione pubblicitaria trasformata in strumento di raccolta del consenso (Forza Italia).
Il Movimento, che in qualche modo è stato figlio della torsione berlusconiana della politica (la comunicazione che sopravanza il contenuto) è riuscito a raccogliere un consenso da partito di massa, dunque a conquistare il ventre molle del Paese, che è la piccola borghesia. Incazzata e orfana. In un sistema-Italia in cui l’ascensore sociale si è bloccato da anni negli scantinati bui del precariato e della rottamazione di ogni speranza, il M5S, a ben vedere, ha proposto come alternativa la politica: dalla strada al Parlamento, con l’alterazione rousseuiana dell’uno vale uno, ha offerto un modello in cui identificarsi ma anche una risposta concreta a qualche centinaio di giovani (e qualche decina di furbetti). Ma questo ascensore non sale ai piani alti per tutti. E questa è la prima ragione di frattura, innanzitutto nel gruppo dirigente. Esaurito l’epos antagonista, è sopravvissuto il retrogusto ideologico piccolo-borghese, incapace di approdare a sistema di pensiero, come, ad esempio, avveniva con la Dc che pure attingeva anche alla medesima base sociale, ma la educava alla politica. È rimasto qualcosa di simile ad un istinto malmostoso, che attende ancora una canalizzazione politica stabile.
C’è da dire, e questo è il secondo punto, che l’immissione di una così importante quantità di rappresentanti del Movimento nel Parlamento italiano, ha potuto mettere in campo anche vocazioni politiche – si pensi a Di Maio, Fico, D’Incà, tanto per citare alcuni volti noti – incarnate da personalità rivelatesi all’altezza del compito. Dunque la svolta del Movimento, affrancato dagli onerosi patronage di Grillo e Casaleggio, sperimentato in Parlamento (si tratta di un soggetto politico ancora oggi fortemente caratterizzato dall’impronta parlamentare piuttosto che territoriale) nella sua capacità di accogliere la grammatica dell’istituzione – che molto l’ha cambiato – collaudato in tre diversi governi, è la scommessa di oggi. Non di un tempo di là da venire. La scommessa è sulla capacità di operare una presa di coscienza della sua base sociale e di assumere una direzione di marcia capace di disegnare orizzonti chiari, emancipando se stessi e il proprio elettorato. Verso una forma-partito? Certo, ma anche verso un’identità precisa. Che non potrà essere il doppione del Pd.
Bisognerà mettere nel conto forse scissioni e dimagrimenti elettorali. Ma se il colore del nuovo movimento sarà dato da uomini come Di Maio e Conte, forse già qualcosa si intravede: un nuovo player nell’area di mezzo della politica italiana sta per nascere.