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Finanza sostenibile, ecco la babele delle metriche e dei rating Esg

Di Enrico Giordano

Sono sempre più le imprese che impiegano una quota rilevante dei propri capitali per il perseguimento di precisi obiettivi di sviluppo sostenibile. Altre, invece, si limitano a trattare i temi della sostenibilità, se li trattano, come un adempimento formale, di mera compliance. Il rischio che il pubblico sia indotto ad acquistare un prodotto che si crede sia ecologico — mentre non lo è, o lo è solo in minima parte — è reale e concreto. Il miglior antidoto contro il greenwashing è la corretta informazione. L’analisi di Enrico Giordano, senior counsel di Chiomenti

Il mercato degli investimenti sostenibili e responsabili è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni. Gli investimenti Sri (acronimo di Social Responsible Investment) riflettono la convinzione che un’impresa sia sostenibile solo se crea valore nel lungo periodo, se presta dovuta attenzione ai rischi ambientali e sociali, se tiene in debita considerazione gli interessi di tutti gli stakeholder, se i profitti sono generati valorizzando tutte le risorse disponibili, economiche, finanziarie, umane e intellettuali. La schiacciante vittoria del “long-termismo” sullo “short-termismo” ha determinato un radicale cambiamento dell’industry dei servizi finanziari. Si prenda un qualsiasi servizio finanziario: non c’è prospetto informativo, brochure o sito web che non metta in primo piano almeno un elemento della cosiddetta equazione Esg (Environment Social Governance). E se ci sono pochi dubbi sul fatto che il settore finanziario abbia acquisito tutti gli elementi tipici dell’industria, è più che lecito domandarsi se questo rapido cambiamento sia riuscito a far penetrare in profondità, nei circuiti decisionali che contano, i temi della sostenibilità ambientale e sociale.

In un contesto di così generalizzato entusiasmo a favore dell’ecologia e contro le storture della globalizzazione possono celarsi differenze molto significative. Sono sempre più le imprese che impiegano una quota rilevante dei propri capitali (in senso ampio, di tipo finanziario, produttivo, intellettuale, umano, sociale, ecc.) per il perseguimento di precisi obiettivi di sviluppo sostenibile. Altre, invece, si limitano a trattare i temi della sostenibilità, se li trattano, come un adempimento formale, di mera compliance.

Il rischio che il pubblico sia indotto ad acquistare un prodotto che si crede sia ecologico — mentre non lo è, o lo è solo in minima parte — è reale e concreto. Il miglior antidoto contro il greenwashing è la corretta informazione, la disponibilità dei dati. Per misurare le performance economiche e finanziarie di un’impresa si sono sviluppate regole contabili molto consolidate; ci saranno sempre punti critici ma, nella sostanza, il Mol è il Mol e il Roe è il Roe. Quando invece si affrontano gli indicatori Esg, ad esempio la riduzione delle emissioni di carbonio o l’incremento della formazione del personale, si entra in un terreno dove gli spazi di discussione possono essere molto ampi.

A livello internazionale, l’informativa sulla sostenibilità ambientale e sociale delle imprese è tradizionalmente fornita su base volontaria, mediante la predisposizione del bilancio di sostenibilità, ovvero inserendo le informazioni non finanziarie in specifiche sezioni del bilancio consolidato o nel bilancio integrato. Non è così per le imprese di maggiore dimensione dell’Unione Europea, che — già dal 2018, ai sensi della Non Financial Reporting Directive (Nfdr 2014/95) — devono pubblicare la cosiddetta Dichiarazione non finanziaria (Dnf), che analizza gli aspetti più rilevanti di carattere ambientale, sociale e di governance.

Negli Usa, il presidente Joe Biden e altri esponenti della nuova amministrazione avevano preannunciato sin dalla campagna elettorale un cambio di passo nella regolamentazione sulla sostenibilità. Lo scorso 11 marzo, anche John Coates, direttore della Divisione Corporate Finance della Sec, ha dichiarato pubblicamente che la riforma potrà prevedere l’introduzione di nuovi obblighi di disclosure Esg per le società quotate.

A prescindere dal tema dell’obbligatorietà o volontarietà dell’informativa non finanziaria, in tutto il mondo la domanda e la disponibilità dei dati Esg è in rapida crescita e si è formato un floridissimo mercato dei servizi legati alla raccolta, elaborazione e analisi degli stessi.

Il problema maggiore è che questa massa di dati risulta ancora frammentata e disomogenea. Un esempio: la citata Direttiva Nfrd prescrive che per la rendicontazione delle informazioni Esg si utilizzino “gli standard e le linee guida emanati da autorevoli organismi sovranazionali, internazionali o nazionali, di natura pubblica o privata […]. Di fatto, lo stesso regolatore europeo certifica la pluralità e la stratificazione dei diversi standard di reporting. Su questo tema meritano di essere segnalate due importanti iniziative:

– a livello internazionale, il 13 luglio 2020, il Gri (Global Reporting Initiative) e il Sasb (Sustainabi-lity Accounting Board), i due organismi internazionali che hanno elaborato gli standard più diffusi a livello globale, hanno avviato una collaborazione per fornire dei chiarimenti pratici alle società che utilizzano entrambi gli standard. Poco dopo, l’11 settembre 2020, a queste due istituzioni si sono unite le altre tre “sorelle” – Cdp (Carbon Disclosure Project), Cdsb (Climate Disclosure Standard Board) e Iirc (International Integrated Reporting Council) – e tutte e cinque hanno annunciato un progetto congiunto per la creazione di standard di rendicontazione comuni (Comprehensive Corpo-rate Reporting);
– a livello europeo, la Commissione Ue ha presentato una proposta di revisione della citata Direttiva NFRD, la cui consultazione pubblica si è conclusa nel maggio 2020. Inoltre ha annunciato un pro-getto per la definizione dei nuovi Principi Europei di Rendicontazione non Finanziaria. A distanza di pochi mesi, il 28 febbraio 2021, l’European Financial Reporting Advisory Group (Efrag) ha completato e trasmesso alla Commissione la propria proposta tecnica.

La disomogeneità delle metriche Esg non riguarda solo la rendicontazione da parte delle imprese. I dati “grezzi” forniti dalle imprese (raw data) vengono raccolti, ordinati ed elaborati da altri soggetti specializzati: i cosiddetti Esg data provider e le agenzie di rating Esg. Quest’ultime, sulla falsariga di quanto avviene per la valutazione del rischio di credito finanziario, attribuiscono un giudizio che esprime il “rischio di sostenibilità” dell’impresa.

I dati Esg sono divenuti indispensabili in primo luogo per la definizione e l’attuazione delle strategie di investimento, che possono variare significativamente in base alla tipologia di investitore o di prodotto. Solo per fare alcuni esempi, un gestore di fondi o una società di assicurazione possono decidere, sulla base dei propri valori etici, di non acquistare i titoli di società che operano in settori esclusi (es. bevande alcoliche, tabacco, armamenti, test su animali, gestione di miniere di carbone, ecc. – cd. negative/exclusionary screening). Oppure possono scegliere di investire nelle società che risultano le migliori in determinati settori, sulla base di di performance integrate di natura economico-finanziaria ed Esg (best in class) o in quelle società che aderiscono e rispettano determinati standard o convenzioni internazionali in tema di sostenibilità (norms based screening).

Tutte queste analisi presuppongono la disponibilità di informazioni e indicatori dettagliati, spesso in forma comparativa. Se non ci fossero i data provider e le agenzie di rating Esg ciascun investitore professionale sarebbe costretto a internalizzare queste attività.

Ma non sono solo le società quotate a dover fornire l’informativa non finanziaria, anche i prodotti di finanza sostenibile (quote di fondi azionari e obbligazionari, Etf, ecc.) offerti dagli investitori professionali sono oggetto di rating Esg. Per contrastare il greenwashing nel settore degli investimenti Sri, gli investitori professionali che operano nella Ue, dallo scorso 10 marzo, sono tenuti a dare un’informativa dettagliata al mercato e alla clientela sulle politiche adottate per l’integrazione dei rischi Esg nei propri processi d’investimento (la Sustainable Finance Disclosure Regulation, Sfdr Ue 2019/2088).

I big data Esg, scambiati di continuo tra le imprese, gli investitori, i clienti, le autorità di vigilanza, i data provider, le agenzie di rating, ecc., rappresentano un mercato in continua crescita, sia in termini di valore dei servizi offerti che di numero di operazioni di M&A. Solo per citare le più importanti:

– all’inizio del 2021, Deutsche Borse, il gruppo che gestisce la borsa di Francoforte, ha perfezionato l’acquisizione di Iss, Istitutional Sharesholders Services, uno dei principali proxy advisor del mondo, che ha al suo interno un’importante divisione specializzata nel rating Esg;

– nel 2020, Morningstar, leader nei servizi di ricerca finanziaria e di investment asset management, ha acquisito il controllo di Sustainalyitics, uno dei maggiori rater e data provider Esg, con un database di oltre 40.000 società. Nello stesso anno, S&P Global ha acquistato la divisione rating Esg di RobecoSAM;

– nel 2019, Vigeo Eiris e Asset4, due dei principali istituti di ricerca e data provider Esg, erano stati acquisiti rispettivamente da Moody’s e da Thomson Reuters.

Da notare che, con la sola eccezione di Deutsche Borse/Iss, il compratore è sempre una grande corporation quotata a New York e la target una società con sede in Europa.

Anche i rating Esg sono ben lontani dall’essere condivisi e facilmente comparabili. È esattamente il contrario. Gli studi che hanno evidenziato i limiti di tali giudizi sono sempre più numerosi. Una ricerca condotta dalla Sloan School of Management del Mit (Aggregate Confusion: The Divergence of Esg Ratings, Cambridge MA 2019) ha rilevato che, in media, solo nel 61% dei casi i giudizi delle cinque agenzie di rating Esg risultano concordi (quando si valuta il rischio di credito di un’impresa i giudizi delle agenzie concordano nel 99% dei casi). Lo stesso studio rileva che la divergenza tra le diverse agenzie non è di opinioni ma di misurazione, poiché ciascuna agenzia usa i propri modelli. Il rapporto della Commissione Europea (Study on Sustainability-Related Ratings, Data and Research, 2020) giunge sostanzialmente alle medesime conclusioni e formula la raccomandazione di incrementare la trasparenza sui potenziali conflitti di interesse.

Infine, nel nuovo piano di azione della Commissione Europea per la “Capital Market Union” del settembre 2020, è stato stato inserito il nuovo progetto per la creazione di un super database informatico (c.d. European Single Access Point, Esap) per la raccolta di tutte le informazioni — finanziarie e non finanziarie – attualmente disperse su una pluralità di piattaforme informatiche (registro imprese, siti internet delle società quotate, sistemi di diffusione e stoccaggio, siti delle autorità di vigilanza nazionali, etc.). La proposta formulata dagli esperti nominati dalla Commissione prevede che il Single Access Point sia gestito dall’Esma (European Securities and Market Authority) e che vi siano fatte confluire tutte le informazioni che gli emittenti quotati devono rendere disponibili in ottemperanza ai regolamenti e alle direttive in materia societaria.

All’inizio del 2021 si è tenuta una pubblica consultazione, chiusa lo scorso marzo, nel corso della quale più di 300 soggetti (associazioni di categoria, società quotate, intermediari finanziari) hanno fatto pervenire i propri commenti. Pur con molti distinguo, i partecipanti hanno accolto positivamente l’iniziativa. Come prevedibile, sul tema dell’inclusione dei dati Esg nell’Esap sono emerse posizioni contrastanti: i rappresentanti degli asset manager hanno espresso pieno favore all’inserimento delle informazioni non finanziarie nell’Esap, già a partire dalla prima fase, mentre i rappresentanti degli emittenti hanno manifestato maggior prudenza e preoccupazione per gli oneri a carico delle stesse.

Un’altra partita è appena iniziata, la prossima mossa spetta alla Commissione Europea, sempre più ambiziosa in termini di integrazione della sostenibilità ambientale e sociale nel quadro politico, finanziario e normativo.

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