Le guerre digitali sono diventate sempre più frequenti e senza regole. Come affrontarle? Luciano Floridi, dell’Università di Oxford, propone una cooperazione tra Paesi con la stessa visione democratica, digitale e tech. Dal Fondo monetario internazionale arriva la proposta di un nuovo world tech order, mentre Francesca Bria di Cdp Venture Capital punta sull’Europa
“L’età moderna è finita” ha dichiarato Luciano Floridi al Financial Times riferendosi alla proposta di alcuni strateghi di tornare ad un’epoca neo-Vestfaliana per regolare l’economia tech globale. Floridi, professore alla Oxford University e autore di molti testi sulla sovranità digitale, crede infatti che questo non sia possibile, e non perché la tradizionale sovranità statale non sarà più necessaria, ma perché bisogna fare un passo in più. Bisogna, per Floridi, trovare un accordo con il potere digitale e quindi con le aziende tecnologiche mondiali – evitando così anche un bipolarismo, una guerra fondamentalmente tech, tra Cina e Usa.
La tecnologia è ormai diventata un fattore geopolitico, uno strumento con il quale i paesi giocano a braccio di ferro per dimostrare chi ha più potere. Quando gli Usa hanno bloccato l’esportazione di semiconduttori in Cina, la Cina ha limitato l’accesso ad alcuni materiali necessari utili proprio per la creazione di prodotti tecnologici. L’India ha bloccato l’applicazione TikTok appena si è trovata in conflitto con la Cina. Una vera e propria guerra, una situazione in continua tensione tra quei paesi “evoluti” in campo tech. Come affrontarla?
Per alcuni, come sottolineano Daniel Garcia-Macia e Rishi Goyal del Fondo Monetario Internazionale, può sembrare impossibile capire perché i paesi portano avanti una guerra digitale, ma analizzando le situazioni dal punto di vista della sicurezza nazionale, è tutto più chiaro: “la corsa alla leadership nelle tecnologie digitali non segue confini tradizionali e la tutela della proprietà intellettuale. L’economia in rete permette di raggiungere senza soluzione di continuità tutto il mondo per raccogliere informazioni e prendere decisioni, aumentando l’efficienza economica.” Questa stessa libertà, però – continuano – è ciò che causa le guerre digitali, i limiti, i blocchi e gli embarghi, perché è questa stessa libertà che apre la porta a continue minacce nazionali ed internazionali in campo tech.
Esiste una soluzione a tutto ciò? Garcia-Macia e Goyal, ad esempio, propongono un nuovo “world tech order”. Non esistono e-polizia e non esiste una e-giustizia globale, e per questo bisogna crearle, dato che, secondo loro, i semplici embarghi o limiti alle esportazioni/importazioni non avranno più senso nel mondo digitale. Per Luciano Floridi invece, la spinta deve venire dalle tradizionali sovranità statali dato che queste “hanno ancora il potere di plasmare la sovranità digitale a loro interesse.” L’Unione Europea ha già fatto grandi passi in avanti con il GDPR del 2018 e pochi giorni fa con la proposta legislativa in merito all’intelligenza artificiale, sottolinea Floridi. Ma l’Ue dovrebbe cooperare con i paesi aventi la medesima visione, come l’Inghilterra, il Giappone, il Canada e l’Israele, per portare queste regole a tutta la comunità internazionale.
Per Francesca Bria, Presidente di Cdp Venture Capital SGR, la situazione non è così semplice. Come ha scritto sul Financial Times, “Bruxelles è stata lenta nel riconoscere l’importanza della sovranità digitale.” Questa lentezza però, ha portato l’Ue ad individuare come e quando regolare il mondo digitale, diventando così il leader a livello globale sulle norme tech. Ma, anche per Bria, bisogna fare di più: l’Ue deve riconoscere l’importanza della sovranità digitale inserendo questo pensiero anche all’interno della politica estera. Una volta raggiunto questo traguardo, l’Ue avrà la possibilità di tracciare il un nuovo percorso globale includendo regolamenti internazionali vincolanti su antitrust, tassazione, privacy digitale, sicurezza informatica e sostenibilità.